La crisi colpisce anche di sabato
- Autore: Christophe Palomar
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2021
Raccontare la crisi etica, politica, economica, relazionale che ha colpito l’Italia in un periodo che va dalla fine dello scorso millennio agli anni che stiamo attraversando, anni malati, pieni di incertezze e solitudini: è quello che cerca di fare lo scrittore Christophe Palomar, che malgrado il nome francese scrive, pubblica e vive in Italia. Nel suo romanzo La crisi colpisce anche di sabato (Ponte alle Grazie, 2021), che sceglie anche nel titolo due parole chiave, crisi e sabato, si capisce che la voce del narratore è determinata ad attraversare la vita di persone diverse, di diversa età e condizione, che vivono in realtà molto differenti, per disegnare una mappa della vita e del costume italiani, attraverso alcuni personaggi che divengono maschere, simboli di una società che vive in pieno una fase che potremmo definire decadente.
La cifra con cui lo scrittore affronta i temi che gli sono cari è l’ironia, talvolta sferzante, altre più leggera, ma pur sempre presente in moltissime pagine del libro, che è difficile definire romanzo tout court. Direi che si tratta di diversi spunti di riflessione, cinque capitoli lunghi, in cui i diversi attori vengono rappresentati nel loro contesto, nella loro storia individuale, nel posto che occupano nella grande Storia del nostro tempo.
L’esergo del libro, “Gli intellettuali non risolvono le crisi, ma le creano”, è di Umberto Eco, e confermano il tono ironico con cui lo scrittore si accinge a scrivere le sue storie. Si comincia con il quartiere Testaccio di Roma, “All’ombra della piramide”, che vede come protagonisti due impiegati alle Poste di via Marmorata, il capolavoro architettonico degli anni Trenta, opera degli architetti Libera e De Renzi: Adriano Pasciuti e sua moglie Angelica. È una vicenda tutta incentrata sulle speranze deluse, sull’incomprensione, sulla assenza di valori comuni, sulla mancanza di passione, che porterà i due alla definitiva separazione.
Ma la descrizione della vita di Adriano, che non si è mai allontanato dal quartiere e dalla casa popolare senza ascensore in cui ha vissuto dapprima con la madre e poi anche con la moglie, raccontano di una piccola borghesia romana misera nei valori e nelle ambizioni, in una parte di città che somiglia a un paese, di cui ha conservato riti e abitudini.
La vita di Adriano viene descritta in tutti i suoi risvolti, nelle sue miserie, nell’amicizia con un tedesco che vive a Roma da anni, fino alla morte e al ritorno al luogo d’origine, nel Cassinate, ad Alvito, “che sembra Positano ma senza il mare e senza i russi”. Pagine davvero struggenti, le migliori del libro.
La storia di Gioia Airaghi, invece, una manager milanese tutta ambizione e carriera, una cinquantenne che trascura la figlia e il marito, è meno originale e forse meno riuscita, anche se gli ambienti dei milanesi che corrono non si sa dove per salvare posti e carriere pericolanti sono molto ben costruiti.
La parte centrale, quella che riguarda un gruppo di ragazzi di Ferrara, colti mentre non sanno decidere su amore, sesso, amicizia, sballo, musica, e finiscono nel gorgo della infelicità e della irresolutezza, mi ha coinvolto di meno. Resta un libro da leggere, profondo, amaro, a tratti dolente, pieno di sarcasmo e di senso del gioco, per non lasciarsi travolgere dalla malinconia di tempi difficili.
La crisi colpisce anche di sabato
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