La fabbrica della speranza
- Autore: Lavanya Sankaran
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marcos y Marcos
- Anno di pubblicazione: 2014
Ho visto le immagini colorate e rutilanti della città di Bangalore, al centro di questa nuova India, dove grattacieli sfavillanti di luci e colori, centri commerciali e alberghi a cinque stelle convivono con una condizione di miseria e di deprivazione difficilmente comprensibile da noi occidentali.
La scrittrice Lavanya Sankaran, indiana di nascita ma americana di studi e di lavoro, ha deciso di tornare nella sua città natale e di raccontarci nel bel romanzo appena pubblicato le contraddizioni spaventose che sopravvivono in questo territorio sterminato, in un paese dove la democrazia costruita nel post colonialismo è in realtà un sistema dimezzato a causa di una corruzione endemica e strabordante, eretta a sistema di vita e di amministrazione, contro cui pochi volonterosi non riescono a combattere e tantomeno a vincere.
La storia che ci racconta la scrittrice è quella di un onesto imprenditore, Arnand Murthy, padrone di una fabbrica di componenti per automobili, la “Cauvery Auto”, che per accettare la sfida di un’importante commessa internazionale deve ingrandirsi e per farlo dovrà sottoporsi ad un’umiliante sottomissione al sistema vigente da parte di un sottobosco di politicanti che, per finanziare la campagna elettorale di un candidato progressista a pulito, richiedono tangenti esorbitanti pena la distruzione della fabbrica.
L’autrice ci accompagna fin dentro la fabbrica modello di Arnand, benvoluto dai suoi operai e dai dipendenti a lui fedelissimi, e ci descrive la sua famiglia: la moglie e i due figli, i suoceri, i genitori, ma soprattutto il personale di servizio, numeroso nella lussuosa villa che la famiglia può ormai permettersi.
Parallela alla vicenda della ricca coppia Murthy, corre quella della domestica Kamala e di suo figlio, il dodicenne Narayan. La donna, precocemente vedova, era giunta da un lontano villaggio con il neonato e aveva lavorato come una schiava nei cantieri edili che avevano trasformato la vecchia città coloniale in una metropoli modernissima. In seguito ad un grave incidente di cantiere che per poco non era costato la vita al bambino, era finalmente giunta in una stanza microscopica ma tutta sua, trovando posto come domestica a casa di Arnand e della frivola e bisbetica Vidya, sua viziatissima moglie, figlia del ricco e potente Harry Chinappa, che non amava il genero, proveniente da una modesta e religiosissima famiglia braminica.
Lavanya Sankaran entra nelle pieghe della moderna società indiana, mostrandoci una borghesia ricca e dedita ad un lusso estremo, mentre i loro servitori stentano a sopravvivere, la corruzione permea tutti gli strati sociali e la rigorosa divisione in caste rischia di far saltare equilibri precari di un’economia che ha distrutto le campagne e ha trasferito capitali a banche e a ricchissimi costruttori.
I personaggi del romanzo sono numerosi e ben costruiti; oltre l’odiosa Vidya, c’è l’amica Kavika, che ha vissuto negli Stati Uniti e ha scelto uno stile di vita occidentale, che le permetterà, lei sola, di comprendere la disperazione di Arnand che rischia di perdere tutto il suo patrimonio e di stargli vicino, pur entrambi rinunciando ad un rapporto più intimo. E ancora il personaggio simbolico del padre di Arnand, che vive alla vecchia maniera, sobrio nel vestire e nel mangiare, critico nei confronti della nuova società consumista nella quale la famiglia del figlio sguazza ignara di ciò che avviene appena fuori del cancello; il suocero invece è corrotto e corruttore, ambizioso e sprezzante, desideroso di emulare quegli Inglesi che con una violenta rivoluzione erano stati cacciati dal paese. Ma oltre Arnand, generoso e sensibile, anche se mal giudicato dalla moglie e dalla sua potente famiglia, il personaggio più riuscito e quello che la scrittrice forse ama di più è quello di Kamala, il cui percorso di vita mostra un paese che per crescere deve pagare prezzi altissimi: per far studiare il figlio, per farlo uscire dal determinismo sociale a cui sarebbe condannato, è disposta a ogni sacrificio, ogni umiliazione, ogni fatica. Lui dovrà studiare in una scuola privata (le pubbliche sono pessime), dovrà imparare l’inglese, dovrà diventare un moderno cittadino del suo paese, con diritti e doveri chiari. Per questo accetta l’aiuto del padrone Arnand, anche se sua moglie l’ha umiliata a morte accusandola e licenziandola ingiustamente. Nessuna tutela per le donne indiane, nessuna salvaguardia per la loro salute e i loro diritti elementari, ci fa capire Lavanya Sankaran; solo la generosità di un padrone ben disposto, capace di opporsi ai capricci della moglie, all’arroganza del suocero, al malcostume dilagante e alla totale mancanza di servizi pubblici sarà in grado di salvare Kamala dalla disperazione.
Dal punto di vista letterario il romanzo ci regala pagine molto significative, le descrizioni delle grandi feste, le magliette da jogging e i sari tradizionali, la presenza delle diverse e numerose divinità tradizionali che vengono invocate nei momenti di difficoltà, tra un’e-mail e un I-phone, il raduno dei contadini che sono costretti a vendere la terra ad Arnand ma vengono non a caso intercettati dai controllori:
“La cellula anticorruzione aveva ricevuto informazioni sulla consegna di certe bustarelle e stava facendo un raid all’ufficio del registro. Per assicurarsi che il loro intervento non passasse inosservato, si erano portati un po’ di giornalisti….Aveva passato la vita adulta a lamentarsi della corruzione del governo – ma oggi non era proprio la giornata giusta per apprezzare lo zelo del Lok Aykuta”
Insomma le contraddizioni, come si diceva, che emergono ad ogni pagina del romanzo e la presenza continua di termini in lingua originale, intraducibili, collaborano a descrivere con ampiezza uno spaccato sociale e politico interessante e poco noto, regalandoci una storia di piacevolissima lettura.
La fabbrica della speranza
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