La moglie dell’aviatore di Melanie Benjamin

“Se gradisce volare con me, mi raggiunga in cucina alle quattro e quindici domattina. Possiamo fare un giro ed essere di ritorno prima che venga servita la colazione, e nessuno ne saprà niente”.

Anne Morrow (1906 – 2001), studentessa dello Smith College, si trovava a Città del Messico in quel Natale del 1927 in visita ai genitori, perché il padre Dwight W. Morrow, banchiere, era stato appena nominato ambasciatore americano in Messico dal Presidente Coolidge Jr.

“Se qualcuno avesse deciso di scrivere la storia della nostra famiglia, avrebbe potuto riassumerla in un’unica parola: dovere”.

Durante un ricevimento all’ambasciata, Anna, “ragazzetta sminuita dall’aura dorata della sorella maggiore Elisabeth”, la bella di casa, aveva conosciuto il Colonnello Charles Lindbergh (1902 – 1974), il quale a bordo del monoplano monomotore Spirits of St. Louis “aveva sorvolato l’Oceano Atlantico come un uccello, come un’aquila, e in solitaria per giunta” conquistando a soli 25 anni “non solo l’intero pianeta ma anche il cielo sovrastante”. Lassù, dove c’era molto rumore e molto vento, Anne si era sentita stranamente leggera, superiore “alle mie paure e ai miei dubbi” e a tutti i problemi che affliggevano il mondo. In quel primo volo Anne, fidandosi di quel ragazzo dall’aura dorata al quale aveva affidato la sua vita, certa che l’avrebbe sempre protetta, non solo aveva sfidato le leggi della gravità ma aveva infranto anche le leggi del suo cuore.

“Fino ad allora l’avevo retto con mano ferma, ma in quell’istante lo affidai, in tutti i sensi, all’uomo seduto alle mie spalle. Non dovevo più essere responsabile del mio destino, né preoccuparmi di cosa avrei fatto quel giorno, l’indomani, l’anno successivo. Dovevo solo cedere e lasciarmi vivere, come la più elementare delle creature. Come gli uccelli che volavano sotto di me”.

Anne era appartenuta, fino a quel momento, a un mondo d’illustri pensatori e sognatori, dove i successi erano di natura letteraria, diplomatica o accademica. La famiglia Morrow, proveniente dal New Jersey, frequentava la medesima cerchia sociale dei Kennedy. Gli eroi erano personaggi appartenuti alla storia o alla letteratura, non esistevano eroi nei tempi moderni, almeno fino a quando non era apparso all’orizzonte Charles Lindbergh, Lucky Lindy, l’Aquila solitaria, “alto e sottile come la lama di un coltello”, pieno di grazia, come gli unicorni, al quale riusciva tutto senza sforzo. Anne, scrittrice in erba che teneva un diario perché riusciva a dare un significato al suo mondo solo mettendolo per iscritto, avrebbe sposato Lindbergh, così diverso dagli uomini che la giovane aveva conosciuto prima, uomo in gamba, valoroso e deciso.

“Amavo la ragazza spensierata, persino scatenata, che mi era parso di essere in cielo”.

La moglie dell’aviatore (Neri Pozza, 2014, titolo originale del volume: The Aviator’s Wife, traduzione di Maddalena Togliani) racconta la versatilità di una donna “tenera, coraggiosa, fortissima”, oscurata dalla personalità dominante del marito, “affascinante ma pieno di difetti”.

“Ero la figlia dell’ambasciatore USA o la moglie dell’aviatore?”.

Bersagliati e resi prigionieri dalla curiosità dei mass-media, oppressi da un dolore inconsolabile, il rapimento e l’uccisione del primo figlio, Charles Junior, di due anni avvenuto nel 1932, Charles e Anne (“coppia volante”) furono in apparenza una coppia di ferro, inossidabile. Tra verità e finzione, la brava autrice ci racconta una storia diversa dall’immagine pubblica, ponendo in primo piano la figura di Anne, scrittrice e aviatrice. Prima donna americana a ottenere una licenza di pilota d’idrovolante, una delle prime operatrici radio a ottenere la licenza, copilota di Lindbergh:

“l’unica persona che l’aviatore più famoso del mondo voleva accanto nei voli d’esplorazione intorno al globo a battere record”.

Una pioniera la cui essenza è racchiusa nella frase di Antoine de Saint-Exupéry posta come esergo del volume:

“Gli occhi sono ciechi. Bisogna imparare a guardare con il cuore”.