Dante Alighieri morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, mentre si trovava in esilio a Ravenna. Il Sommo Poeta si spense all’improvviso, a soli cinquantasei anni, probabilmente a causa della malaria.
I funerali furono officiati il giorno seguente, in pompa magna, presso la Chiesa di San Pier Maggiore alla presenza dei figli, Jacopo, Pietro e Antonia, e delle massime autorità cittadine. La morte prematura di Dante provocò grande sconcerto nella società letteraria dell’epoca e avvilì il suo mecenate, Guido Novello da Polenta, podestà di Ravenna.
Se le cause del decesso sono ormai pressoché certe - il poeta doveva aver contratto la malaria nel corso di un viaggio a Venezia - la sua sepoltura rimane un mistero.
Ora Dante riposa nella Basilica di San Francesco, nel centro di Ravenna, lontano dalla sua Firenze. Ma a lungo chi si recava a rendere omaggio alle spoglie del poeta in realtà pregava su una tomba vuota. Il mistero della sepoltura di Dante Alighieri rimase irrisolto per oltre cinque secoli.
Scopriamo più nel dettaglio le cause della morte di Dante e il cold-case letterario della sua sepoltura.
La morte di Dante Alighieri
Stando alla ricostruzione storica, Dante Alighieri contrasse la malaria mentre era di ritorno da un’ambasceria nella città lagunare di Venezia. Passando per le paludose Valli di Cormacchio per rientrare a Ravenna, il Sommo Poeta fu punto dalla fatale “zanzara killer”.
Dante si era recato a Venezia per conto del suo signore, Guido Novello, che aveva chiesto al poeta di intercedere per lui d’innanzi al Senato veneziano.
Nel 1318 il Sommo Poeta si era allontanato dal suo protettore scaligero, Cangrande Dalla Scala, e si era recato alla corte di Guido Novello da Polenta (il nome derivava forse dal castello di Polenta, situato a Bertinoro, Ndr), podestà e signore di Ravenna. In ossequio al suo mecenate, che gli dava ospitalità e lo proteggeva, Dante Alighieri accettò di fare anche quella fatale ambasciata che l’avrebbe condotto alla morte prematura. Guido Novello temeva il conflitto navale con Venezia, di cui riconosceva la superiorità militare e sperava che il grande letterato con la sua mirabile ars retorica potesse dissuadere il nemico dall’attacco. L’ambasciata di Dante alla Serenissima tuttavia ebbe un esito incerto; l’unica conclusione indubitabile è la morte del poeta che contrasse il morbo inguaribile. Le febbri lo portarono velocemente alla morte, senza possibilità di salvezza.
Il suo protettore, Guido Novello da Polenta, fu avvilito dalla scomparsa prematura del poeta, di cui si sentiva in parte responsabile. Fu lui a premurarsi di organizzare un funerale in grande stile, alla presenza delle massime autorità cittadine.
Oggi commuove ricordare la riconoscenza di Dante Alighieri verso il suo illustre mecenate - che era a sua volta poeta - in una delle ultime lettere indirizzate al signore di Ravenna si firmava così:
L’humil servo vostro Dante Alighieri Fiorentino.
A Ravenna, Dante aveva trovato la pace e la tranquillità necessarie - oltre all’agiatezza economica - per concludere la sua Commedia. La città gli fu anche di ispirazione per la scrittura di alcuni Canti fondamentali della Divina Commedia, come il V Canto dell’Inferno. Alla corte dei Da Polenta Dante venne infatti a conoscenza della storia di Francesca Da Rimini, che era stata la figlia di Guido da Polenta Il Vecchio, antico signore della città.
A Ravenna Dante avrebbe anche trovato sepoltura, lontano dalla sua città natale, in un tempietto eretto presso la Basilica di San Francesco. Il tempio in stile neoclassico, in realtà, fu eretto solo tra il 1780 e il 1781. Sulla porta d’ingresso oggi si legge la scritta in latino: “Dantis poetae sepulcrum”.
Per oltre cinque secoli le spoglie del poeta non furono custodite in quella tomba, ma altrove - e qui si apre il mistero.
Dove è sepolto Dante Alighieri?
Dante, dopo la sua morte precoce, fu sepolto a Ravenna in un sarcofago nel chiostro di Braccioforte, ma la sua natia Firenze non tardò a rivendicare le spoglie del Sommo Poeta. La rivendicazione si fece più accesa quando furono eletti papi i fiorentini Leone X e Clemente VII. A questo punto, per timore che i resti venissero trafugati, i frati francescani li prelevarono dalla tomba e nascosero le spoglie del poeta in una cassetta murata riposta all’interno di un oratorio non lontano dalla basilica di San Francesco.
Nei secoli successivi, dunque, chi si recava a rendere omaggio al sarcofago di Dante pregava in realtà su una tomba vuota. La verità fu svelata il 27 maggio 1865 quando uno studente, Anastasio Matteucci, fece la meravigliosa scoperta delle ossa dantis.
Durante i lavori di restauro della chiesa fu ritrovata una cassa che sembrava essere di scarso valore; ma fu Matteucci a decifrarne la piccola iscrizione in latino che ne rivelava il prezioso contenuto. Alcuni atti notarili dell’epoca evidenziano la diatriba: attestato il fatto, con solenne meraviglia, i notai ravennesi Vincenzo Rambelli e Saturnino Malagola stabilirono il trasferimento della cassa di legno contenente le ossa di Dante in una cassa di ferro. Era la mattina del 6 giugno 1865.
Poco tempo dopo, il 7 luglio, venne redatto un secondo atto notarile in cui si stabiliva l’“apertura dell’urna marmorea nel sepolcro di Dante con la descrizione degli oggetti che conteneva”. Per la solenne occasione si riunirono prefetto, rappresentante del comune e la commissione ministeriale incaricata. L’urna viene quindi aperta e al suo interno furono trovate foglie secche di alloro, mucchi di polvere e frammenti di calcinacci, schegge di greco, tre ossa corrispondenti alle “due falangi di una mano, di color rosso scuro” e alla terza falange del piede. I resti contenuti nel sarcofago vennero quindi confrontati con quelli delle Ossa Dantis appena ritrovate per certificarne l’appartenenza al Sommo Poeta.
La salma fu ricomposta e i resti, per un certo periodo, furono esposti in una teca di vetro, infine tumulati nel famoso tempietto eretto nel 1780 che oggi conosciamo come “Tomba di Dante”.
Sono trascorsi oltre Settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, ma il poeta ancora non ha trovato pace, dorme il sonno eterno dell’esilio, lontano dalla sua natale “Fiorenza” il cui nome si spande come un’eco nell’aldilà.
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La morte di Dante Alighieri e il mistero della sua sepoltura
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