La notte più buia. Cronache di una generazione
- Autore: Roberto Gramiccia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2022
La notte più buia. Cronache di una generazione (Mimesis, 2022) è un romanzo pieno di passioni, di amori consapevoli, di amori irrisolti, di fede politica e di notti tra le più buie. Una lettura che mi ha tanto coinvolta per le esperienze giovanili e la formazione che hanno accompagnato anche la mia crescita: la storia personale dell’autore, Roberto Gramiccia, racchiude in parte la mia storia.
Cronache di una generazione, quella nata negli anni cinquanta, quella degli studenti del ’68, del Vietnam, di Salvator Allende, in un volume che è il ritratto di molti di noi, in un periodo storico nel quale si esprimeva un senso partitico di appartenenza ( la sofferenza di un uomo si perde nella lotta con gli altri) e un credo ideologico di vita e modelli che ha unito individui e cittadini.
Nel tempo dei nostri vent’anni l’accelerazione era massima, la rivoluzione sembrava dietro l’angolo.
Nell’attualità di una sinistra senza più identità, la cui politica è smarrita, ritengo la lettura de La notte più buia preziosa, piacevolmente ironica, piena di fascino e verità.
Roberto Gramiccia, scrittore, medico e critico d’arte, vive e lavora a Roma: ha scritto numerosi libri e curato un gran numero di eventi d’arte. Un libro, confida l’autore, nato nel periodo della pandemia dall’osservazione delle regole che ci hanno vincolato per un lungo periodo e dai ricordi incalzanti che lo hanno condotto a un’intensa riflessione sulla sua vita e sulla storia di una generazione. L’ho letto tutto d’un fiato, non me ne volevo separare; una lettura che mi ha emozionato non poco, nella quale mi sono lasciata condurre nei suoi e nei miei ricordi.
Il racconto di sé e del mondo intorno erano già dentro l’autore, le parole erano lì solo in attesa di essere scritte. La prima notte buia che Roberto ricorda è legata alla sua infanzia, alla paura dell’abbandono, quando piccolo rimase solo perché i genitori corsero in ospedale per soccorrere la sorellina; qualcosa di imprevedibile che non ha mai più dimenticato. La sua Roma degli anni cinquanta, nel periodo di rinascita dopo le tragedie della guerra; la sua Roma, con i punti di aggregazione di allora, i bar, le sezioni del Pci, i cinema e le parrocchie. Prima c’era una maggiore socialità rispetto a oggi. Per un ragazzino erano poche le passioni, il calcio nei cortili e nelle strade, la lettura dei libri. E i ricordi, dall’insegnante elementare, unica per trenta bambini, con i capelli lunghi neri raccolti a treccia sulla nuca; al ginnasio e gli amori giovanili; dagli scioperi degli operai, con la celere che li caricava, ai cortei del Partito Comunista.
Primi anni Settanta, la diffusione dell’Unità la domenica mattina e la guerra dei manifesti la sera in gruppo, con i secchi di colla ad attaccarli, con la paura di essere massacrati di botte dagli avversari, anche quella una notte buia, e la mattina trovarli strappati a terra o coperti da quelli del MSI.
Del Partito ci piacevano la concretezza, la storia, la solidità, il fatto che ci potevi trovare ex partigiani, operai in carne e ossa, antifascisti coi fiocchi, gente sveglia che lavorando e studiando si era fatta una cultura propria allora definita di classe. Ci piaceva il legame con il popolo, con il territorio, il consenso, il rispetto e l’ammirazione che la gente comune dimostrava.
La scelta della facoltà di Medicina, lo studio intenso con l’idea della rivoluzione immancabilmente dietro l’angolo; in tasca due quotidiani e il pericolo costante di azioni da parte dei fascisti; e quella curiosa insonnia che gli ha permesso di studiare senza sosta Anatomia patologica.
Racconta della passione per l’arte contemporanea che è stata un colpo di fulmine: Schifano, Vespignani, Franz Borghese. Per poi avvicinarsi agli artisti della Nuova scuola romana, Jannis Kounellis, Giacinto Cerone ed Ennio Calabria.
In più di trent’anni Gramiccia si è occupato di numerose mostre, decine di cataloghi e un centinaio di recensioni e profili di artisti. Autodidatta, ha costruito, come scrive, la sua educazione estetica attraverso studi o ascoltando coloro che sono diventati i suoi maestri davanti a un piatto fumante e a un bicchiere di vino.
Ottime relazioni con artisti un po’ meno con critici e curatori d’arte. Dedica un capitolo ai suoi idoli, Cesare Pavese, un’autentica scuola di antiretorica che lo ha formato, Luigi Tenco con la sua cronica malinconia, Renato Caccioppoli e la sua variabile impazzita. Un corale“ come eravamo” di vicende private, di amori indimenticati e interessi.
Con l’omicidio Moro va in frantumi l’utopia di un incontro tra comunisti e cattolici, la morte di Berlinguer, la caduta del muro di Berlino, un susseguirsi di “notti tra le più buie”, e di lì in poi negli anni a seguire, la cattiva politica che ha portato al disimpegno di massa, all’abbandono dei grandi progetti di emancipazione collettiva, alla sconfitta operaia.
Fino agli anni Novanta con l’avvento degli ismi e il liberismo berlusconiano che, con l’effetto domino di liquidare i partiti storici, ha reso predominante una cultura che tanto ricorda quella descritta da Giacomo Leopardi ne Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli Italiani.
A livello internazionale i due ismi crearono i presupposti e la cornice della grande sconfitta. Parlo del Thatcherismo e del Reaganismo che rappresentarono i nuovi orizzonti politici e culturali di un periodo storico che per certi versi non è mai finito.
La politica e la medicina, quest’ultima sempre più privata di fondi per la sua sostenibilità, hanno entrambe - sottolinea l’autore - il fine di migliorare la situazione sociale, la visione dell’uomo e le sue fragilità.
E come scrive Paola Paesano nella postfazione al libro, la notte più buia è lo specchio in cui quella fragilità, che muove la vita e la volontà delle persone, così tanto osservata riconosciuta e adottata, riflette la cura, la riparazione, il risarcimento.
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