La pigna nella novella di Luigi Pirandello rappresenta la filosofia dell’esistenza: l’assenza di una logica che concreta e scandisce le vicende.
Tutto accade come fatto irrazionale e le situazioni sono venate di assurdità e di grottesco.
Di contro a tutto il nero che aveva nell’anima, ecco il verde dei prati, l’azzurro del cielo e quella soave freschezza dell’aria, alito vivo della Primavera. E rimase, incantato, a mirare.
Sì, poteva, poteva esser bella la vita; ma lì, in mezzo a quel verde, all’aperto, dove la sorte crudele, certo, non poteva esercitare, come in città, la sua feroce persecuzione […] cominciò a sentir prossimo il mare, e tutta l’anima gli s’allargò, ilare e trepidante, nella viva aspettazione di quella tremula azzurra immensità.
Quello riportato è un brano paesaggistico tratto dalla novella La pigna, in cui il protagonista, che viaggia in treno per raggiungere Nettuno, sente il fascino della primavera con il rigoglio della natura.
“La pigna”: temi e analisi della novella di Pirandello
Il protagonista della novella di Pirandello si chiama Corvara Amidei e lo conosciamo come professore di latino che da tanti anni non insegna più.
Affacciato al finestrino d’una vettura di terza classe si sente rapito dalla bellezza del paesaggio che, per un momento, gli fa dimenticare la sua triste sorte, il peso enorme d’una insopportabile esistenza: il figlio ammalato e una moglie che lo disonorava; un prete opprimente e il misero stipendio, tale da non consentirgli una dignitosa quotidianità.
Lo scopo del suo viaggio era quello di poter trascorrere insieme al proprio figlio un mese di “sollievo” e di “riposo”.
Sceso alla stazione di Nettuno, va in cerca di un “quartierino”. Un po’ caro per lui quello trovato, ma accogliente: dalla finestra della camera si poteva godere della vista del mare che pareva volesse entrare in casa.
Rapide e incisive le pennellate sull’ambiente.
Una volta salito sulla scogliera, l’uomo:
Lì rimase per più di un’ora stupefatto, a contemplare.
Il narratore sottolinea la sua gioiosità dinanzi allo spettacolo del meraviglioso. Il luogo così favorisce il manifestarsi di energie positive, “l’altrove” rispetto al grigiore di vicende private piuttosto stereotipate e deludenti.
Al ritorno, dopo aver lasciato la caparra, visita il magnifico parco dei Borghese, a mezza via tra Anzio e Nettuno:
Non ricordava d’aver mai passato un giorno più delizioso di quello in vita sua; si sentiva beato entro quel precoce, voluttuoso tepor primaverile, con il mare di qua, sotto lo scoscendimento dell’altipiano, e il verde dei campi e dei boschi dall’altra parte.
Ammalianti i flashes paesaggistici; coagulandosi danno luogo al sogno e quando il momento onirico scompare, subentrano amare riflessioni, svegliandosi in lui quelle “antiche considerazioni che in gioventù lo avevano travagliato fino a fargli perdere per un momento la ragione e poi la fede”.
Scatta la meditazione ed egli, sdraiato per terra, a mo’ di Giobbe si interroga sul perché sia bersagliato dalla sorte malgrado non abbia fatto male ad alcuno. Per coerenza aveva lasciato l’abito ecclesiastico non sentendosi più in accordo coi dottori della chiesa. Aveva sempre fatto del bene e gli riesce incomprensibile il fatto che il figlio si stesse lentamente spegnendo.
Non trova una spiegazione, l’interrogativo di sempre l’assilla:
Ma perché? Dio, no: Dio non poteva voler questo. Se Dio esisteva, doveva coi buoni esser buono. Egli lo avrebbe offeso, credendo in lui. E chi dunque, chi dunque aveva il governo del mondo, di questa sciaguratissima vita degli uomini?
L’ultima parte della novella, dove sono presenti alcune allegorie, ha una soluzione grottesca.
Una pigna, staccatasi dagli alberi, lo ferisce sul capo. Alla domanda sull’accaduto rivoltagli della custode del parco, egli, tra spasimo e riso, risponde balbettando:
La… La pigna, […] la pigna che governa il mondo… già!
Oltre alla precisione dei luoghi, c’è da dire che la tecnica narrativa nell’epilogo è in funzione del supporto simbolico: il prato diviene una sorta di palcoscenico per l’esibizione dei ragionamenti del professore.
“La pigna”: il simbolismo nella novella di Pirandello
È sulla vita intesa come un “guazzabuglio” che termina la narrazione. Scopre il professore un significato esistenziale: la pigna che gli cade in testa esprime il cieco meccanismo che governa la realtà.
È il caso a regolare lo svolgersi degli eventi ed è questa la convinzione a cui egli perviene. Non c’è alternativa: indipendentemente dalla volontà di ciascuno, tutto avviene per caso dalla nascita alla morte ed è impossibile ogni evasione dalla propria condizione, da sé stessi. È come se un burattinaio manovrasse i fili a suo piacimento.
È assente una logica architettura nell’esistenza ad è l’illogicità a esercitare capricciosamente il dominio sulle persone. Da qui lo stigma del caos con le più profonde ferite che produce.
La pigna in Pirandello non è altro che il simbolo privo di possibile quiete e serenità. L’accettazione del fallimento è, appunto, la sigla di una situazione senza luce e meta. La vita non è dunque vista come manifestazione della volontà di Dio, ma come strumento del caso sovrano. È vano cercare una spiegazione razionale dell’esistenza.
È solo uno scherzo della sorte, cioè di forze irrazionali, a farsi beffa della condizione umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La pigna”: la filosofia dell’esistenza nella novella di Luigi Pirandello
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