Amore è una parola complessa che sottintende una pluralità di sfumature. Nel vocabolario di Frida Kahlo, che di neologismi non è certo privo, questa parola ha un nome: Diego. La pittrice messicana nei suoi diari aveva definito l’incontro con Diego Rivera, uno dei principali esponenti dell’arte del muralismo, come il secondo incidente della sua vita.
Si incontrarono la prima volta negli anni Venti del Novecento quando lei gli sottopose in esame alcuni suoi dipinti. Avevano più di vent’anni di differenza, ma lei era una ragazzina cresciuta in fretta: la poliomielite prima, poi quel terribile incidente sull’autobus che l’aveva condannata a una convalescenza eterna e dolorosa. Si era salvata dipingendo e sapendo che avrebbe potuto, un domani, mostrare a lui i suoi dipinti: in quei ritratti che gli porse quel giorno c’era dunque tutta lei, la sua essenza.
In realtà Frida venerava Diego da molto tempo, lo aveva incontrato per la prima volta quando aveva quindici anni mentre lui stava dipingendo uno dei suoi celebri murales. Cinque anni dopo ecco che quella ragazzina torna da lui con in mano le sue opere, pronta a mostrargli la donna che è diventata. Lui valutò la tecnica di pittura ancora acerba, ma la incoraggiò a continuare. Fu l’inizio di un sodalizio artistico e intellettuale, ma soprattutto di una storia d’amore che forse non fu mai felice ma che, come tutti gli amori infelici, è ancora in grado di farci sognare attraverso l’arte, i dipinti, le lettere e soprattutto le poesie che Frida dedicò a lui, Diego, suo eterno amore, suo eterno tormento.
Li chiamavano “l’elefante e la colomba”, tanto erano diversi fisicamente. Si erano traditi a vicenda, delusi a vicenda, eppure non si erano mai lasciati definitivamente: restarono insieme sino alla morte di lei, avvenuta nel 1954. Lui la raffigurò in un celebre dipinto, Il ritratto di Frida Kahlo, in cui è rappresentata come una sorta di divinità sacra precolombiana e uno sguardo enigmatico da Monnalisa. Diego tenne il ritratto sempre con sé, portandolo accanto al letto in una miniatura nei suoi ultimi giorni di vita.
Diego Rivera è una presenza onnipresente, costante, nella vita di Frida, presente anche nell’assenza. Un meraviglioso dipinto della pittrice messicana si intitola Diego on my mind (1943) e in esso Frida raffigura sé stessa con l’aggiunta di un terzo occhio, in quell’occhio - posto proprio al centro della mente - c’è lui, Diego. Il volto di lui appare incastonato, come un diamante, nella fronte di lei.
In questa poesia, tratta dalle Lettere appassionate di Frida Kahlo, ritroviamo in parole la stessa immagine raffigurata nel dipinto: Diego è ovunque, Diego è tutto, la sua presenza pervade ogni cosa, ogni angolo della mente di Frida e va persino molto al di là del pensiero.
Nei ritratti di Frida Kahlo si può leggere tutta la storia della pittrice e questa storia è inscindibile dal nome di lui, Diego.
La poesia di Frida Kahlo a Diego Rivera
Nella saliva
nella carta
nell’eclisse.
In tutte le linee
in tutti i colori
in tutti i boccali
nel mio petto
fuori, dentro
nel calamaio – nelle difficoltà a scrivere
nello stupore dei miei occhi
nelle ultime lune del sole
(il sole non ha lune) in tutto.
Dire “in tutto” è stupido e magnifico.
Diego nelle mie urine – Diego nella mia bocca
nel mio cuore – nella mia follia – nel mio sogno
nella carta assorbente – nella punta della penna
nelle matite – nei paesaggi – nel cibo – nel metallo
nell’immaginazione.
Nelle malattie – nelle rotture – nei suoi pretesti
nei suoi occhi – nella sua bocca
nelle sue menzogne.Traduzione di M. Martignani
La poesia di Frida Kahlo a Diego Rivera: analisi e commento
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Questa poesia Frida non la inviò mai a Diego, che la scoprì soltanto tre anni dopo la morte di lei.
A Diego la poesia la mostrò per la prima volta la rivoluzionaria cubana Teresa Proenza, intima amica della pittrice.
“Costruirei il mio mondo”, scriveva Frida nei suoi diari. Così come la pittrice aveva costruito un mondo su misura per lei - in armonia con tutti gli altri mondi, ecco che aveva anche costruito l’amore su misura per lei. L’amore che Frida inventa per Diego è sovrumano, va oltre ogni capacità di immaginazione, sfida ogni logica temporale e fisica, sembra comprendere ogni cosa, alimentarsi di ogni sensazione, percezione, visione. Un amore così grande Diego non lo poteva reggere, ne era colpito, persino ferito, forse non riusciva a comprenderlo. Nei versi finali della poesia di Frida si fa riferimento a tutto ciò che avvelena quel sentimento così esclusivo: le malattie, le rotture, i pretesti e, infine, le menzogne. In queste righe Frida riesce a racchiudere la sconfinata elevazione spirituale cui può condurci l’amore, ma anche la sua bassezza.
Le parole, come i ritratti di Frida Kahlo, contengono moltitudini, lacerazioni, mancanze che si dilatano.
Ma in queste poche righe - scritte per Diego e a Diego mai inviate - è contenuta anche una verità lacerante e terribile: che l’amore è una sorta di “possessione”, che amare qualcuno è come esserne posseduti. Proprio come nel ritratto Diego on my mind, l’immagine di Diego si sovrappone a quella di Frida, non sono più separati, diventano un unico essere. Forse in questa comunanza estrema risiede la ragione che ha reso la loro storia d’amore leggendaria: non possiamo immaginarli distinti, sono inscindibili, impensabili l’uno senza l’altro. Leggendo queste righe che paiono scritte col sangue, parole eterne come il tempo, come la memoria, sappiamo per certo che Frida Kahlo non sarebbe stata la stessa - non sarebbe stata addirittura sé stessa - senza Diego Rivera.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La poesia di Frida Kahlo dedicata al marito Diego Rivera
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