La repubblica dei vinti. Storie di italiani a Salò
- Autore: Sergio Tau
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2018
C’era di tutto: i coraggiosi e i vili, gli assassini e i torturatori, i volontari e i coscritti con la minaccia della morte, oltre a tanti ragazzini cresciuti a pane e duce. Si poteva trovare gente d’ogni risma tra i fascisti repubblichini, come vengono chiamati i combattenti dello stato fantoccio filogermanico creato da Mussolini nel Nord Italia tra l’autunno 1943 e la primavera 1945. Erano gli italiani della RSI, la Repubblica Sociale, le cui storie sono al centro del libro di Sergio Tau “La repubblica dei vinti. Storie di italiani a Salò”, pubblicato a settembre 2018 da Marsilio, nella collana Gli specchi (352 pagine, 18 euro).
Il volume trascrive una trasmissione radio RAI di vent’anni fa ed oltre. Regista teatrale dal 1959, Tau, nel 1997 ha realizzato e mandato in onda su Radio Tre un documentario radiofonico, "Le voci dei vinti". Due commentatori di parti politiche opposte, Giano Accame per la destra e Claudio Pavone per la sinistra, chiosavano le testimonianze di ottanta uomini e donne che avevano scelto di restare coi tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e il passaggio dell’Italia “ufficiale”, quella del re e di Badoglio, affianco agli Alleati, fino ad allora nemici per oltre tre anni.
Sul “Corriere della Sera”, Dario Fertilio aveva accolto con curiosità la possibilità di ascoltare le dichiarazioni di ex repubblichini raccolte dal regista in due anni di lavoro. Erano le voci dei vinti, che riteneva si potessero chiamare in tanti altri modi:
nemici, collaborazionisti, nazifascisti, i ‘non uomini’ di Vittorini o quelli che secondo gli eroi di Calvino erano fuori dalla Storia.
Accame si diceva convinto che le storie di vincitori e vinti avrebbero finito per ricomporsi, sull’esempio dell’America della sanguinosissima e divisiva guerra di Secessione. Claudio Pavone sospettava che il "grande abbraccio" potesse servire a nascondere colpe e ambiguità.
Chi aveva consentito di affrontare l’argomento, fino a quegli anni reso tabù dall’inappellabile damnatio memoriae collettiva del fascismo, era stato un ex comunista, Luciano Violante, deputato del PDS, dall’alto di un ruolo istituzionale di rilievo. Nel primo discorso da presidente della Camera, nel maggio 1996, aveva aperto ad una riflessione “sui vinti di ieri”. Non perché avessero ragione o per “una inaccettabile parificazione tra le due parti”, ma per “sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà”.
C’erano giovanissimi che volevano vendicare l’onore tradito dal voltafaccia nei confronti dei tedeschi e dimostrare il valore degli italiani. A diciassette anni, il senese Piero Ciabattini si arruolò volontario nella Guardia Nazionale Repubblicana e poi entrò addirittura nella divisione italiana delle Waffen SS, il famigerato corpo combattente del Partito Nazista, i più fanatici dei fanatici. Lo spingeva l’ambizione di far parte di “un esercito vero, quello tedesco” e "l’ossessione dell’onore da salvare”, combattendo sul campo, non dietro una scrivania, come spiega Nino Colombari, anche lui in divisa nera con le rune. In massima parte, l’aspirazione era quella di affrontare gli angloamericani, il vero nemico per loro, ma dovettero impegnarsi nella controguerriglia, per volontà dei nazisti, affrontando i partigiani e dando vita ad una dolorosissima pagina di odio tra italiani.
In una quasi rabbiosa presentazione, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco sostiene che tuttora “le cicalanti bambinaie della correttezza ideologica”, da sinistra, negano la lettura condivisa di quella storia, invocava da Violante. Ancora più che nel dopoguerra, l’Italia si nega alla pacificazione, dice. L’immediato e pure sanguinario periodo successivo a quella “guerra civile” non conobbe l’odio che si conserva oggi, altrimenti non ci sarebbero reduci ex fascisti dai campi di concentramento per repubblichini di Coltano, San Rossore, Scandicci (tutti in Toscana). Sarebbero stati tutti passati per le armi subito dopo la cattura, in una specie di Katyn nostrana, nella primavera 1945.
Colombari, che ha combattuto tra le SS a Nettuno, contro gli Alleati sbarcati ad Anzio, sottolinea un contenuto ideologico che fa pensare: sostiene che lui e gli altri sarebbero andati a combattenere coi “neri” anche se a capo della RSI, al posto di Mussolini, ci fosse stata Greta Garbo.
Le testimonianze sono proposte da Tau senza giudizi, li lascia ai lettori. Altri intellettuali, nel frattempo, hanno espresso le loro opinioni. Giorgio Bocca sosteneva che “non esistono due storie separate, ma soltanto la Storia. Nessuno può dire: ‘ero un giovane entusiasta e volevo combattere per l’onore tradito dell’Italia’, perchè la verità gli imporrebbe di confessare: ‘combattevo con i nazisti che volevano costruire un impero razzista’. La sincerità delle testimonianze non c’entra, concludeva: “Non spiegano la storia, ma soltanto la loro psiche”.
La repubblica dei vinti. Storie di italiani a Salò
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