La selva dei morti
- Autore: Ernst Wiechert
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Skira
- Anno di pubblicazione: 2015
“La selva dei morti” (Skira, 2015), titolo originale Der Totenwald, Eine Mauer um uns baue, la traduzione si basa sulla versione di Lavinia Mazzucchetti del 1947, che è stata ammodernata) di Ernst Wiechert (Forsthaus Kleinort, 18 maggio 1887 – Uerikon, 24 agosto 1950), è la biografia del lager di Buchenwald, scritta nel 1939 e pubblicata nel 1946, di uno degli scrittori tedeschi più letti del suo tempo, il quale venne internato nel 1938 come prigioniero politico nel lager nazista dopo essersi pronunciato in difesa di un pastore luterano che si era esposto contro il regime e che fu rilasciato quattro mesi dopo a condizione di non fare più opposizione.
“Avrebbe dovuto consigliare e aveva bisogno lui stesso di un consiglio. Avrebbe dovuto aiutare e non ne era capace”.
Sapeva che le carceri erano piene di innocenti, che nei lager la morte perseguitava i suoi strazianti obiettivi, che gli uffici erano occupati da persone indegne, che i giornali erano diretti da impostori. E sapeva che un intero popolo in pochi anni si era trasformato in un popolo di schiavi. Schiavi sulle cattedre universitarie, sui seggi dei tribunali, nelle aule delle scuole, dietro l’aratro che smuove la terra, sui ponti di comando delle navi, a capo degli eserciti, alla scrivania dei poeti.
“Schiavi ovunque, dove ci fosse una parola da dire, un gesto da compiere, un’accusa da tacere, una fede da proclamare.”
Johannes, era questo il nome di chi agisce e patisce in questo libro, aveva già superato la metà del cammino della sua vita, quando, in quelle prime giornate primaverili, si era reso conto che non poteva più rimanere fermo e stare zitto. In quel tempo era stata perpetrata la riannessione dell’Austria al Reich, una cappa opprimente di paura era piombata sull’animo di chi, come Johannes, aveva pensieri di giustizia. Fosche ombre di guerra si addensavano all’orizzonte, era in pericolo la terra di Mozart, di Haydn, di Beethoven e di Schubert, di quei magici scrittori come Stifter che avevano saputo tratteggiare il mondo incantato dipinto nel romanzo "Tarda estate". Il ministro luterano, il cui nome era universalmente noto, era stato tratto in giudizio dopo una lunga prigionia. Condannato a un periodo di reclusione, l’uomo era stato condotto in un lager e i soliti bene informati avevano detto che certamente da lì il ministro luterano non ne sarebbe più uscito vivo. Mediante una lettera inviata alla direzione del partito del suo distretto nella quale, Johannes dichiarava il suo appoggio fattivo alla moglie e ai figli del pastore luterano, l’uomo condannava se stesso a un futuro dal destino incerto e quanto mai pericoloso. Lì, in quel nuovo carcere della Gestapo, costruito poco prima dagli stessi prigionieri, in una cella lunga otto passi e larga tre, pavimento di linoleum e pareti a calce dove si poteva scorgere addirittura un pezzo di cielo, i pensieri di Johannes non andavano al futuro.
“Il futuro sarebbe giunto e lui non poteva fare altro che sperare di dare buona prova”.
Nel suo romanzo più autobiografico, l’autore nella figura di Johannes descrive se stesso e quello che scoprì nel campo di concentramento di Buchenwald. Una discesa nell’orrore, dove Wiechert vide con i propri occhi a quale livello di aberrazione poteva arrivare il cuore nero degli uomini. Grazie agli sforzi congiunti di parenti e amici Ernst/Johannes sarebbe riuscito a uscire dall’inferno del lager, in cambio della promessa del silenzio su ciò che aveva visto. E che non sarebbe mai più stato in grado di dimenticare.
“Queste pagine vogliono essere soltanto un preludio alla grande Sinfonia della Morte che sarà scritta un giorno da chi ne sarà più degno. Io sono rimasto solo sulla soglia, ho guardato l’oscuro palcoscenico e ho annotato non tanto ciò che i miei occhi hanno scorto, quanto ciò che l’anima ha veduto”.
La selva dei morti
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