La sposa liberata
- Autore: Abraham Yehoshua
- Categoria: Narrativa Straniera
Yehoshua analizza il rapporto difficile fra due mondi, due culture, la israeliana e l’araba, che cercano una difficile, forse impossibile convivenza.
Il protagonista del libro è il professor Rivlin, docente di letteratura mediorientale all’Università di Haifa, sposato felicemente con Haghit, una pragmatica ed austera giudice distrettuale. Hanno due figli, uno dei quali, Ofer, dopo un solo anno di matrimonio ha divorziato dalla bella Galia per motivi misteriosi e mai chiariti. Sono ormai passati cinque anni e il professor Rivlin è ossessionato dal fatto che il figlio, che ora vive a Parigi, non si sia rifatto una vita al contrario dell’ex moglie. Rivlin apprende infatti casualmente (mentre alloggia nella pensione di cui la famiglia della ex nuora è proprietaria) che Galia si è risposata ed attende un figlio...
Accanto a questa storia se ne affiancano altre che vedono sempre Rivlin al centro della narrazione, mentre il tema del matrimonio sembra essere quello che intrighi di più l’autore: matrimoni riusciti, matrimoni falliti, matrimoni che si stanno celebrando, matrimoni virtuali, matrimoni fra persone di età diverse e di diverse etnie che lasciano il lettore alle prese con molti e diversi interrogativi che l’autore sembra non voler svelare.
Molto interessante l’analisi del rapporto fra i personaggi arabi, soprattutto Rashed, sua cugina Samaher e il cameriere factotum Fuad e gli ebrei, lo stesso Rivlin e sua moglie, ma anche il vecchio professore italiano, Carlo Tedeschi e la sua giovane e inquieta moglie Hana; e ancora Tehila, la sorella di Galia, in un caleidoscopio di viaggi dentro e fuori i territori occupati, a Gerusalemme, ad Haifa, mentre i personaggi tutti concorrono ad una narrazione a volte troppo lenta, ma ricca di fascino, dove l’uso delle metafore, dei simboli, delle allegorie ci consegnano ancora una volta l’immagine di uno scrittore davvero straordinario, capace di costruire immagini indelebili nel nostro immaginario.
La sposa liberata
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Romanzo che non riesce a coinvolgere. Di lettura molto faticosa. L’autore affianca brevi descrizioni lucide e anche affascinanti a noiosissime digressioni narcisistiche sulla cultura araba. Indisponenti i frequenti incisi in arabo.
Insomma leggerlo irrita più che piacere.
Dello scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua avevo, tempo fa, apprezzato i racconti, delicate costruzioni surreali eppure del tutto immerse nella realtà. Il romanzo, come è giusto, lo proietta in una prospettiva totalmente differente, dalla quale la componente surreale è del tutto cancellata, lasciando il posto alla narrazione in tono leggero, delicato, quasi soave di una famiglia spezzata e del terribile segreto che si nasconde dietro al divorzio di due ragazzi innamorati e, sembrava, felici.
L’azione si svolge fra il 1998 e il 1999, in un periodo in cui la pace fra Israeliani e Palestinesi sembrava possibile: eppure, da ogni dialogo fra i protagonisti, da ogni dinamica di amicizia, amore e conoscenza, è più che evidente la convinzione, da parte dei diretti interessati, che un punto d’incontro, in fondo, non possa esistere, perché troppe sono le differenze di mentalità e comportamento fra le due etnie. Si ricerca una convivenza guardinga, persino diffidente, un equilibrio precario fatalmente destinato ad alterarsi, con conseguenze disastrose, al primo zefiro.
Rivlin, il protagonista, è un professore universitario meticoloso e amante delle indagini, ma allo stesso tempo, traboccante di sensualità per la vita in generale e per la bella e riluttante moglie Haghit. Da qualche anno, Rivlin è preso dall’ossessione di scoprire perché il matrimonio del figlio Ofer con Galia sia finito dopo solo un anno. Il figlio si rifiuta di parlarne, e Rivlin intuisce che si tratta di un segreto molto grave. Esortato da Haghit a non immischiarsi negli affari di cuore del figlio, Rivlin protesta che vuole solo aiutarlo, visto che la sua ossessione per la ex moglie non gli permette di rifarsi una vita, ma, in realtà, vuole soddisfare la propria sete di verità e contribuire a cambiare il corso degli eventi. Haghit, sebbene sia un magistrato oltre che una donna affascinante e capace di incantare chiunque con il proprio spirito, disapprova profondamente l’atteggiamento del marito, e questo condurrà a diversi screzi fra di loro, oltre che a una rottura fra padre e figlio.
La scintilla involontaria che innesca tutto il processo è la morte dell’ex consuocero. Rivlin, in occasione di una visita di condoglianze, riprende a frequentare la pensione della famiglia della nuora, che adesso è gestita dalla mascolina, affascinante e volitiva figlia minore. Lì ritrova il fedele cameriere arabo Fuad, figura a metà fra il puro e l’ambiguo, che a tratti pare ostacolarlo invece di favorirlo. Parallelamente, Rivlin si avvicina alla famiglia di una sua studentessa, Samaher, fresca sposa presa dalla malinconia, e al cugino di lei, Rashid, che lo introduce a un mondo per lui nuovo, portandolo a frequentare arabi, cattolici e festival di poesia. Due storie a distanza parallele fra di loro, quella di Ofer e Galia e quella di Samaher e Rashid, si confrontano e si specchiano l’una nell’altra, mentre Rivlin tenta di avere, su di esse, un’influenza che non gli spetta. Il collante del tutto è la devozione per il maestro Tedeschi, ebreo italiano, malato non si sa quanto immaginario. Personaggi reali, forti, al tempo stesso irritanti e apprezzabili nei loro differenti aspetti. Malgrado la lunghezza e le divagazioni costituite dalle varie conferenze, lezioni e riflessioni sul mondo arabo, l’autore sa affascinare e appassionare il lettore con la dolcezza della sua scrittura, sottile come un velo, rarefatta e preziosa nel cristallizzare un attimo di vita quotidiana oramai così lontana.