La novella La tragedia d’un personaggio di Pirandello, uscita sul “Corriere della sera” il 19 ottobre nel 1911, poi apparsa in La trappola (Fratelli Treves, 1915) e successivamente nella raccolta L’uomo solo (1922) , si apre con una singolare udienza:
È una vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle.
Cinque ore, dalle otto alle tredici.
M’accade quasi sempre di trovarmi in cattiva compagnia.
Non so perché, di solito accorre a queste mie udienze la gente più scontenta del mondo, o afflitta da strani mali, o ingarbugliata in speciosissimi casi, con la quale è veramente una pena trattare.
Io ascolto tutti con sopportazione; li interrogo con buona grazia; prendo nota de’ nomi e delle condizioni di ciascuno; tengo conto de’ loro sentimenti e delle loro aspirazioni [...] e voglio penetrare in fondo al loro animo con lunga e sottile indagine.
“La tragedia di un personaggio” di Pirandello: trama e personaggi
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Luigi Pirandello, quasi nelle vesti di uno psicoanalista, riceve i personaggi dei suoi scritti, ciascuno dei quali ha un problema da prospettargli. Egli ascolta, prende nota e fa di tutto per comprenderne le ragioni. Non tutti rispettano il proprio turno, difatti alcuni:
Balzano davanti agli altri e s’impongono con tanta petulanza e prepotenza.
Gli fanno presente qualche difetto che vorrebbero fosse modificato, ma Pirandello-scrittore sorride e li invita a scontare il loro peccato originale.
Il suo sguardo coglie la presenza di dettagli:
Mi è avvenuto non di rado di ritrovare nelle novelle di parecchi miei colleghi certi personaggi che prima s’erano presentati a me; come pure m’è avvenuto di ravvisarne certi altri, i quali, non contenti del modo con cui io li avevo trattati, han voluto provare di fare altrove miglior figura.
Tra i visitatori, un accenno è dato a un vecchietto: un certo maestro Icillo Saporini che, alla caduta della Repubblica Romana, era espatriato in America nel 1849 per aver musicato un inno patriottico e poi, dopo quarantacinque anni, quasi ottantenne tornato in Italia per morirvi. Sicché, Pirandello, esaudendo il suo desiderio, lo fa morire subito nella novella intitolata Musica vecchia.
Ricorda di aver ricevuto un lungo romanzo per leggerlo: solo un personaggio, “l’unico vivo tra molte ombre vane”, aveva destato la sua curiosità, tenendolo sveglio fino alle tre del mattino per le tante considerazioni che gli venivano in mente. Era un certo dottor Fileno, convinto d’aver trovato un metodo infallibile contro ogni calamità. Senza bisogno di morire aveva trovato la pace: una sorta di atarassia per cui dal passato non traeva insegnamenti e nemmeno previsioni per l’avvenire dal presente:
anzi faceva proprio il contrario: si poneva idealmente nell’avvenire per guardare il presente, e lo vedeva come passato.
E da diversi anni era impegnato a scrivere un libro da cui avrebbe ricavato notorietà: “La filosofia del lontano”. Un personaggio intrigante, dunque.
Infatti, il lettore Pirandello vi aveva intravisto un che di interessante al punto da ripensarlo costantemente:
Ero rimasto a lungo, nel silenzio della notte, con l’immagine di questo personaggio davanti agli occhi, a fantasticare. Peccato! C’era tanta materia in esso, da trarne fuori un capolavoro! Se l’autore non lo avesse così indegnamente misconosciuto e trascurato, se avesse fatto di lui il centro della narrazione, anche tutti quegli elementi artificiosi di cui s’era valso, si sarebbero forse trasformati, sarebbero diventati subito vivi anch’essi. E una gran pena e un gran dispetto s’erano impadroniti di me per quella vita miseramente mancata.
Davvero strana la meccanica associativa. Il dottor Fileno, pur non essendo un personaggio delle opere di Pirandello, si presenta all’udienza, creando un certo scompiglio negli altri che, “adirati e indispettiti”, cercavano di allontanarlo.
Il dialogo tra il noto scrittore e drammaturgo e costui si fa concitato, ma la supplica di Fileno sortisce l’esito sperato e da qui la conversazione si svolge sul rapporto tra il personaggio e il suo autore.
Dice Fileno:
Nessuno può sapere meglio di lei, che noi siamo esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni; forse meno reali, ma più veri! Si nasce alla vita in tanti modi, caro signore; e lei sa bene che la natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce mercé quest’attività creatrice che ha sede nello spirito dell’uomo, è ordinato da natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d’una donna. Chi nasce personaggio, chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può infischiarsi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento naturale della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna, non ha mica bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Mi dica lei chi era Sancho Panza! Mi dica lei chi era don Abbondio! Eppure vivono eterni perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire per l’eternità.
A conclusione del lunghissimo sfogo, la sua richiesta non si fa attendere: chiede di essere riscattato, di avere diritto a un risarcimento, a una migliore sorte rispetto a quella datagli dal suo scrittore:
Mi riscatti lei, subito subito! mi faccia viver lei che ha compreso bene tutta la vita che è in me!
Pirandello oppone un netto rifiuto alla sua “stravagante ambizione” e lo invita alla rassegnazione.
“La tragedia di un personaggio” di Pirandello: analisi e commento
C’è da ridire che in questa novella il punto di riferimento dello scrittore è di farsi confessore e confidente per aggiustare “caratteri”: una specie di Deus ex machina che rimodella, se lo ritiene opportuno, la fisionomia dei suoi personaggi. Sublime l’arbitrarietà dell’autore che a Fileno nega la riconsiderazione del suo identikit per farne letteratura, degna di rappresentazione e di descrizione per raggiungere l’originalità che gli mancava e gli era stata negata.
Nei Sei personaggi in cerca d’autore, la situazione si capovolge.
Difatti, il Capocomico si lascerà persuadere a dar voce ai personaggi perché vivano con la parola. Invece, Nella tragedia d’un personaggio siamo nell’ironia del fallimento della vanità, irrimediabile. Siamo davanti alla morte dell’aspirazione a modificare la propria forma originaria. Così si dice nella conclusione da cui si rileva appunto la proclamazione del nulla:
Caro il mio dottore, ho gran paura ch’Ella non vedrà più niente né nessuno. E dunque, via, si consoli, o piuttosto, si rassegni, e mi lasci attendere a’ miei poveri personaggi, i quali, saranno cattivi, saranno scontrosi, ma non hanno almeno la sua stravagante ambizione.
Un insuccesso non privo di bella originalità si potrebbe dire. E Pirandello lo racconta con una vivacità, un’ironia, un diletto del tutto particolari.
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