La vergine d’oro di Renzo Barbieri

La protagonista di “La vergine d’oro” (Grandi Tascabili Bompiani, 1987) si chiama Sioux Shells, diciotto anni, bella e perfetta, la madre l’ha cresciuta a pane (poco, quasi niente) e riflettori (onnipresenti), Sioux ha tutto: soldi, fama, una vita agiata. Insomma, la tipica gabbia dorata.
Sioux non ha niente: non può amare (la sua verginità è la sua firma, non può assolutamente perderla!), non può mangiare ciò che desidera, non può andare nei luoghi che ama, non può… e basta. Addirittura arriveranno ad assoldare una sua sosia, per farla riposare un po’ e tenerla lontana da paparazzi poco discreti.
Sioux verrà rapita da un uomo che la vuole sposare. Un rapimento che finirà in un nulla, sventato da abili uomini d’azione. E Sioux? Rimarrà scossa? Questa esperienza la segnerà per tutta la vita? Nemmeno per sogno, anzi, questa “novità” le ha persino fatto piacere, una divagazione spensierata dalla solita routine che le sta dilaniando il cuore.
Qualcuno tenterà addirittura di sfigurarla, ma la sua buona stella farà buona guardia, come sempre, alla fine di tutto, troverà l’amore? La vergine d’oro riuscirà finalmente a sorridere?

Renzo Barbieri ci abbaglia nuovamente con le luci del jet-set e, come sempre, non riusciremo a distogliere lo sguardo, ma guarderemo negli occhi quel riflettore e cercheremo le emozioni che questo grande autore ci regala a profusione.
Una protagonista all’inizio antipatica e viziata, una ragazzina che inaspettatamente diverrà donna e c’insegnerà qualcosa.
Cosa? Lascio a voi il piacere di scoprirlo.