La zaratina
- Autore: Silvio Testa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Dizionario Treccani: Nostalgìa, dal greco nostos - ritorno - e algia - dolore -, desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e ora è lontano. Ricordo struggente di qualcosa che si è perso, la nostalgia è malinconica, può essere tenera, molto spesso poetica.
Quella di istriani e dalmati è rancorosa, anche dopo settant’anni. È rabbia per tutto quello che apparteneva loro ed ha cambiato padrone con la forza, per un’identità negata da un giorno all’altro, per i luoghi dai quali sono stati strappati, nel secondo dopoguerra. Silvio Testa, già giornalista del Gazzettino di Venezia, di genitori dalmati, lo denuncia con amarezza nella prefazione al suo recente romanzo sul destino delle popolazioni italiane al confine orientale, nei territori assegnati dal trattato di pace alla Jugoslavia di Tito. “La zaratina. La tragedia dell’esodo dalmata”, è apparso in prima edizione nella collana Gli specchi, della casa editrice veneziana Marsilio, nel maggio 2017 (pp. 314, euro 17,50).
Quei territori persero perfino la denominazione internazionale. In Dalmazia, nel silenzio e con l’accondiscendenza del Bel Paese, i toponimi italiani non solo vennero cancellati: sono diventati tabù.
Un’orgogliosa città-repubblica adriatica si è svegliata una mattina Dubrovnik, dopo essere stata per quasi un millennio Ragusa. Da metà degli anni Quaranta non si parla più di Zara ma di Zadar e se almeno nel suono Ugliano somiglia all’attuale Ugljan, si fa più fatica a riconoscere la lunga isola di Curzola in quel Korcula scandito secondo la ruvida pronuncia croata, mentre Rijeka non ha nulla della nostra Fiume, dizione del tutto scomparsa a livello internazionale.
Incoronate è diventato Kornati, Cherso Cres, Cirquenizza è l’impronunciabile Crikvenica. Si dice Losinj invece di Lussino, Pula, non più Pola, Porec, non Parenzo. Le località che hanno perso il nome italiano sono migliaia.
“La storia non ha giustizia, tanto meno la guerra”
dice uno dei personaggi del libro. Con la Dalmazia, la storia non ha avuto nemmeno pietà.
Le vicende narrate sono avvenute nelle terre e nelle isole oggi croate, allora italiane, in uno dei momenti più duri del nostro passato, dopo il crollo del fascismo, nell’estate 1943. Zara subì la guerra e un lungo dopoguerra, come nessuna città italiana, scrive l’autore. Coinvolse nel suo destino migliaia di persone, tra le quali una donna, la Zaratina, che diventa nel lavoro di Silvio Testa il simbolo delle sofferenze, del coraggio e della resistenza di una comunità.
Il 2 novembre 1943, una formazione di bombardieri Boston rovesciò tritolo e fosforo su Zara. Eppure, non rappresentava un obiettivo militare, non era presidiata in forze dai tedeschi, non ospitava stabilimenti industriali e non era uno scalo ferroviario (non l’aveva neppure, una ferrovia).
Poi gli abitanti cominciarono a temere che il bersaglio dell’incursione fossero proprio gli italiani. Gli Alleati colpivano quelle terre di confine. Gli slavi le volevano. Gli zaratini si domandavano che male avessero fatto, quale fosse la loro colpa storica.
I più si dicevano sorpresi, sostenendo che dopotutto gli italiani in Dalmazia non erano più o meno fascisti che altrove. Altri si consideravano del tutto innocenti, ma qualcuno contestava che nessuno può dirsi innocente. Il fascismo aveva messo serbi contro croati, umiliato gli slavi, aperto campi di concentramento per i civili. Se in un’imboscata a Capocesto i partigiani massacrano ventuno soldati italiani, gli italiani bombardano per rappresaglia il paese, uccidendo uomini, donne, vecchi, bambini. Sangue chiama sangue, non ha nessuna importanza chi ha cominciato.
“L’innocenza l’abbiamo persa quando abbiamo dato credito a quella marionetta di Mussolini. Le aquile romane, i salti nei cerchi di fuoco, le marcette, i petti in fuori, i pugni sui fianchi, le baionette, le luci di notte a Palazzo Venezia. L’Italietta in cerca di un Impero con le scarpe dalle suole di cartone. Poi la guerra a fianco di Hitler ha trasformato la commedia in tragedia: l’abbiamo voluta noi, l’abbiamo accettata, e ora la paghiamo”.
Per gli Alleati Zara è solo un nome sulla carta geografica. Credono a chi gli racconta di truppe, navi, depositi di munizioni, a chi segnala batterie e fortificazioni che non esistono. Sono informazioni inattendibili, ma inglesi e gli americani le prendono per vere: non esiterebbero a cancellare la città dalla faccia della terra con le bombe, come vogliono i partigiani comunisti.
Cinquantaquattro incursioni aeree fino al 31 ottobre 1944. È allora che arrivano i titini e cominciano a scalpellare. Via tutte le targhe italiane, i monumenti italiani, le statue italiane, gli italiani stessi.
«Andate via», dicono gli amici croati agli amici italiani. Le voci corrono, ma ancora non si sa di preciso che la gente viene gettata viva nelle voragini, le foibe o uccisa a bastonate sui bordi.
La guerra finisce e sarà la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia a dire ai protagonisti de “La zaratina” «andate via».
Sono i vincitori a fabbricarsi la giustizia, anche se dura poco, perché la ruota gira. Agli sconfitti restano solo dolori. Erano ventimila i nostri connazionali a Zara, scrive Silvio Testa. Quattromila sono morti. gli altri sono sparsi per il mondo.
La zaratina
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