Le affinità alchemiche
- Autore: Gaia Coltorti
- Genere: Romanzi d’amore
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2013
Verona: la città dell’Amore e della Morte. Come non ricordare la magica atmosfera della più grande tragedia d’amore di tutti i tempi: Romeo e Giulietta. Ed è con grande coraggio, il coraggio che spesso solo gli adolescenti hanno, quando si sentono pronti ad affrontare il mondo intero, forti della propria giovinezza, che Gaia Coltorti, appena ventenne, omaggia a suo modo l’eternità di quell’ amore con un’eco, fatta di parole che raccontano la passione incestuosa che lentamente s’insinua tra le lenzuola di un fratello e di una sorella: Giovanni e Selvaggia.
Pubblicato da Mondadori nel 2013, Le affinità alchemiche è una storia d’amore tra due diciottenni che sono nati gemelli e che sono stati separati quando erano troppo piccoli per ricordarsi l’uno dell’altra quando poi, ormai adolescenti, i genitori decidono di riunirli per ragioni familiari. Ma ormai sono due estranei, che non si sono mai visti né toccati e questo diventerà la più grande sofferenza soprattutto per Giovanni che per primo si accorgerà che l’amore che prova per la sorella non è usuale. Egli la desidera, la sogna, la vuole ed è così che ogni sua azione o parola è dominata da un’attrazione incontrollabile che lo spingerà a vivere un amore disperato che lo condurrà verso una fine inevitabile. Selvaggia si accorgerà più tardi che quello che prova per lui non è fraterno ma è un sentimento carnale, lussurioso e profondamente egoista, proprio com’è lei, ragazzina dai lineamenti e dal corpo perfetti che farebbero invidia alla stessa Lolita. E’ testarda, arrogante, capricciosa, immagine speculare di molte ragazze di oggi, mentre lui è remissivo e debole nei confronti di colei che giurerà di amare in eterno.
La vicenda non è narrata in prima persona ma bensì da un narratore onnisciente che cambia spesso tono e stile, perdendosi a volte in un linguaggio sgraziato in netto contrasto con momenti di alta carica lirica e poetica. Ma al di là di qualche grinza, Gaia Coltorti è pur sempre una ventenne che ha già pubblicato con la Mondadori un libro che in realtà aveva scritto a diciassette anni. E allora cosa chiedere di più? Il romanzo appare giocoso, sensuale, irriverente proprio come sono i giovani di oggi, così presi nel provare tutto ciò che risveglia in loro quel tipico desiderio adolescenziale così legato ad una dimensione terrena piuttosto che a fredde elucubrazioni cerebrali. E questo non è un danno, è solo una scelta, così come è una scelta costruire la trama affrontando un tema così moralmente recluso come l’incesto. Eppure le parole che scorrono dalle bocche dei protagonisti e danno voce ai loro desideri più reconditi sono maliziose ma mai volgari, così come non è volgare il sentimento che viene mostrato che diventa solo un pretesto per raccontare ancora una volta quanto sia ardente la fame di un amore irrealizzabile.
L’intreccio si presta perfettamente ad una rappresentazione cinematografica che non tarderà ad arrivare, come ci ha ben abituato la nostra cara e buona industria cinematografica italiana. L’ambientazione c’è, Verona la città dell’amore, le notti alcoliche, il caldo e le vacanze estive dalla scuola, gli sguardi, i corpi seminudi che accendono strane passioni. Le affinità alchemiche è un seducente risveglio dei sensi quando sono proprio i giovani, aperti e disposti a seguire i loro istinti più nascosti ad insegnare al resto del mondo come ci si innamora, in un modo semplice pur essendo parte di una società così complicata. Perché di questo si tratta, di amore e nient’altro. E allora che colpa ne hanno due anime fraterne, che in fondo non si sono mai viste se nelle loro vene scorre lo stesso sangue? Non è forse lo stesso sangue anche quello che scorre tra tutti coloro che si amano, al di là della razza, del genere e della nascita? E non è forse la stessa alchimia quella che splende tra i corpi di coloro che si consumano struggenti come lingue di fuoco nella cenere? Giovanni vi risponderebbe che è così. Perché prima di Lei, lui non era niente.
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Bella e sognante, questa recensione di “Le affinità”. Talmente pacata e nitida, mi ha restituito l’aura così particolare di un romanzo che credo molto difficile da scrivere e, tuttavia, miracolosamente risolto.
Un elemento che contribuisce a mantenere vive nella memoria storie tanto diverse fra loro – dal mitico “Gioventù bruciata” all’italianissimo “Jack Frusciante” di Brizzi – è il fatto che sono storie di adolescenti, raccontate dal punto di vista degli adolescenti.
“Gioventù” è un film molto violento, che tuttavia non viene ricordato per la sua violenza. Descrive, invece, la dolcezza insita nell’animo di ogni ragazzo. I ragazzi arrivano al mondo pieni di curiosità, interesse e amore, ma quando questi loro sentimenti non sono corrisposti, vengono rapidamente deformati. Esiste un modo per trovarsi una famiglia, che non è necessariamente quella biologica: «È in “Gioventù bruciata”» dice lo sceneggiatore Stewart Stern, «che nasce il concetto di famiglia allargata. Credo che la creazione della famiglia in “Gioventù bruciata” sia essenzialmente la creazione della famiglia applicata a Woodstock, e nata durante il Sessantotto.»
Suona piuttosto credibile, non è vero?
Ora, varrà qui la pena ricordare che i modelli degli adolescenti non sono rappresentati dai genitori, ma da qualcosa, alle volte, di ben più implacabile: ovvero, i loro coetanei.
Chi sono i modelli di Giovanni e Selvaggia?
I genitori, no di sicuro, credo.
Seppure, pensandosi i nostri due giovani come coppia, forse, magari, sì?
Il padre notaio e la madre commissaria sono, magari, degli ostacoli?
Anche qui, direi d’impulso, non molto.
Forse, i modelli di Giovanni e Selvaggia sono il campione di nuoto in sé, e l’allieva di ginnastica ritmica bravissima in sé? O il mediatore del desiderio è proprio letterario, come il cavaliere Amadigi per Chisciotte, e si trova in “Romeo e Giulietta”?
Ma Romeo e Giulietta, propio come Amadigi per Don Chisciotte, sono già morti da secoli, la loro mediazione è da definirsi esterna e dunque, secondo la lezione girardiana, non potrà mai accadere che simili mediatori divengano ostacoli. Ma se così è correttamente posto, allora chi sono gli ostacoli di Giovanni e Selvaggia? La socieà in generale? Il tabù che dovrebbe tenerli a distanza? Il fatto che si sentono come un’anima sola in due corpi differenti?
Qualunque sia la risposta, i temi della ribellione e della sfida, ne “Le affinità alchemiche” – proprio come in “Gioventù bruciata” – sono presenti in dosi massicce.
La potente scena collettiva del capodanno, per esempio, lo testimonia con grande nitore e oltre ogni ragionevole dubbio: la scelta dell’outing impossibile, la confessione dell’amore incestuoso che lega i due giovani protagonisti, è uno scandalo di cui nessuno dei coetanei presenti al ballo potrà mai farsi carico né “ricevere”.
La strategia dei veleni e degli errori e fraintendimenti fatali che conducono a morte Romeo e Gulietta, nel romanzo di Gaia appaiono altrettanto ineluttabili che nella tragedia shakespeariana, ma del tutto interni ai personaggi, specialmente incorporati nella volontà autodistruttiva di Selvaggia: “Le affinità”, dice con chiarezza anche questo.
Se gli sposini di Shakespeare avevano contro la rivalità delle rispettive famiglie, Johnny e Selvaggia hanno per ostacolo il Mondo. E nessun prete o balia o servente, sopraggiungerà ad aiutarli.
Quando in “Voci dalla luna” di Andre Dubus il dodicenne Richie scopre che suo padre (Greg) vuol sposare Brenda, ex moglie del figlio maggiore Larry, l’ecosistema della famiglia Stowe mostra la reale gravità dei danni subìti. Richie, che è un ragazzino devoto e vorrebbe trovare spazio alla sua vocazione, confessa a padre Oberti il suo disagio, e il prete gli risponde: “Pensa all’amore. Loro sono due persone che si amano, ed è faticoso per loro come lo è per gli altri. E anche se è sbagliato, è lo stesso amore”.
Il romanzo di Dubus, abita tutto in questa risposta.
Come sostiene Peter Orner nella postfazione a “Voci dalla luna”, qui noi giungiamo in vista di ciò che il romanzo è: “una meditazione appassionata sulla natura della fede e dell’amore”.
Ora: non sarà che un romanzo come “Le affinità” è precisamente questo, e nient’altro che questo?
Quando si travalicano determinate barriere, pervenendo entro dimensioni proibite, nel passato come nel presente, anche in una società moderna e all’avanguardia come la nostra che mira a soprassedere ad ogni tabù, ecco che, all’improvviso, si fa un passo indietro.
Proprio questa sensazione mi ha spinto, incuriosita, a leggere il romanzo "Le affinità alchemiche", dove a essere trattato è uno dei tabù più longevi e radicati, quello dell’incesto tra fratelli, ricondotto in una storia dei giorni nostri. Leggere per poter mettere alla prova il proprio pensiero, frutto a sua volta della società in cui viviamo. Questo lo scopo.
L’autrice, Gaia Coltorti, al suo romanzo d’esordio, racconta la storia di due gemelli, Giovanni e Selvaggia, cresciuti separati e quasi ignari l’uno dell’altra sino al ricongiungersi dei genitori. Praticamente due estranei. Ritrovandosi a questo punto, ormai maggiorenni, a dover convivere per ricreare quell’armonia familiare che era stata negata, il loro rapporto, dapprima distaccato, crescerà sempre più, evolvendosi in un legame talmente forte e sviscerato da rivelarsi ben presto malsano, oltre il limite, lontano insomma da un "normale" rapporto fraterno. Una dipendenza reciproca e sconvolgente, da cui è impossibile sfuggire.
L’autrice racconta rivolgendosi direttamente ai suoi protagonisti, come nei panni di un’amica con la quale ci si è confidati e che, quindi, a conoscenza dei fatti, mostra una comprensione che non è fine a se stessa, perché non maschera, al contempo, l’anomalia del legame.
La narrazione non è ridotta all’ingenua chiave romantica, che sminuirebbe di certo la portata della tematica, ma ci si sofferma su due temi prevalenti: la solitudine e la ricerca della colpa. Leggendo è infatti coglibile immediatamente quel senso di solitudine che fa da sfondo alla vicenda, propedeutico spesso all’instaurarsi di un legame esclusivo e totalizzante, così come la ricerca di un colpevole (se stessi o i genitori) a seguito dell’inevitabile evolversi delle circostanze, agli occhi di una società ormai inorridita.
Ed è proprio la società il vero giudice a decretare la sua scelta, di condanna, negando qualunque possibilità di comprensione o di assolvimento e rendendo così più gravoso il fardello che fino a quel momento i due erano riusciti a gestire. Ciò che ne conseguirà nel finale è forse la scelta più ovvia e scontata, ma allo stesso tempo la più verosimile e inevitabile, perché lascia riflettere su quanto peso alle volte la collettività riesca ad esercitare sui singoli, esiliandoli o costringendo a distaccarsi da quelle scelte per cui non si erano mostrati idonei ai suoi schemi.
Inevitabile il richiamo shakespeariano alla più intramontabile delle storie d’amore.
Maria Grazia Di Dio, 18/08/2013