Le case dai tetti rossi
- Autore: Alessandro Moscè
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Fandango Libri
- Anno di pubblicazione: 2022
Prima di addentrarci in questo racconto commovente, duro, a volte insopportabile per come vengono raccontati alcuni alienati mentali, c’è da dire che Alessandro Moscè nel suo sito personale scrive una cosa assai importante:
La letteratura è amore e combattimento o non è.
Sicuramente è una cosa, e più forte di lui, quella di dare ai suoi scritti anche poetici la patente di utilità. Questo suo libro mi è stato utile, ha cuore ed è pieno di buoni propositi. Ha come titolo Le case dai tetti rossi (Fandango, 2022), e tratta dell’ Istituto manicomiale di Ancona, in via Cristoforo Colombo.
Il libro inizia narrando della fascinazione che questo luogo assume per Alessandro bambino, che vede entrare e uscire uomini e donne di qualsiasi età da quel posto vicino casa, finché la nonna gli spiega che quelle sono le persone che stanno male con la testa. In realtà l’anziana donna non dice molto, perché ha paura che il bambino si spaventi. Il piccolo Alessandro risiede dalla nonna Altera per tutta l’estate.
Poi la nonna invecchia, ammalandosi negli anni di una demenza senile che ha reso spiacevole il suo passaggio sulla terra; dopo la sua dipartita si prende la decisione di vendere la casa. Anche Alessandro è coinvolto nella compravendita e va a curiosare nell’ex manicomio, chiuso nel 1978, con la Legge Basaglia, che chiuse tutte le strutture "manicomiali" e passando, invece, nei casi gravi, negli improvvisi cedimenti del malato, la chiusura del depresso, del potenziale suicida, per un po’ di tempo in una struttura ad hoc, per il trattamento sanitario obbligatorio.
In realtà la Legge toglie di mezzo delle strutture simili più agli istituti carcerari che agli ospedali, ma non prolifica una diffusione di case-famiglia dove il malato possa accedere per cambiare terapia e per essere tenuto sotto osservazione, per scarsità di psichiatri e di infermieri/e professionali questi progetti non si fanno, lasciando le famiglie da sole a combattere con una malattia, quella mentale, piena di sfaccettature, tra cui ci sono gli episodi di violenza improvvisa vissuti sulla pelle del malato o di qualche familiare.
Alessandro trova nell’ex ospedale psichiatrico ancora cartelle cliniche che gli permettono di trovare delle storie di persone che hanno lasciato quell’inferno, compatibilmente con la "rivoluzione" di Basaglia. Non è tutto in disuso. Dal 2003 alcuni padiglioni sono stati messi a nuovo e occupati dai carabinieri del Nucleo Forestale, un comando dei Carabinieri del Nas e poco altro. Andava riqualificato per la maggior parte, ma i politici non hanno mai dato soldi a sufficienza e il progetto si è arenato.
Inevitabilmente prende vita il ricordo di quei posti e dei suoi abitanti .
C’è Arduino, che ha fatto il giardiniere del manicomio; è la persona più in vista perché sapeva tutte le storie di sofferenza che avvenivano nella struttura e, nonostante ciò, rimase fermo nel suo lavoro, persino duro con alcuni pazienti. Era lui a informare i dottori di comportamenti scorretti, come atti osceni nel giardino tra pazienti. Eppure a noi quelle vite ci sembrano quiete, addormentate, ma per ignoranza e viltà. Oppure c’era un angelo sterminatore, perché i pazienti facevano i bisogni dove capitava, erano sporchi, mangiavano con avidità e strillavano molto.
È scorretto pensare ai malati mentali come di “angeli” che restavano fuori dagli intrallazzi degli uomini cosiddetti "normali", che non potevano avere ambizioni perché prendevano medicine molto forti che li facevano dormire o comunque li lasciavano storditi. I medici facevano un lavoro ingrato. Malpagati, passavano in clinica più ore di quelle reali lavorate, soprattutto se si verificavano scene di violenza o di pazienti che litigavano urlando.
Prima che ad Ancona arrivasse il Dottor Lazzari, si usava sistematicamente l’elettroshock, le camicie di forza e l’acqua gelida sui pazienti indisciplinati. Un vero inferno. La verità era che chi arrivava quasi sano poi diventava un “alienato mentale” per le condizioni patite.
C’era anche un paziente, Nazzareno, che raccontava di aver visto la Madonna vestita di azzurro con cui regolarmente discorreva.
La bravura di Alessandro Moscè sta nel raccontare uno a uno gli alienati che lasciarono un segno, sia in positivo che in negativo. Le cose più brutte l’autore le cela per un suo personale "riserbo" di scrittore.
Per chi scrive, la parte migliore è la storia di Suor Germana che dei pazienti sapeva tutto. Moscè la segue nelle sue abitudini, dalle preghiere del mattino fino alla sera, quando la stanchezza della giornata la prendeva e non aveva certo bisogno di sonniferi. Forse la colpa maggiore prima di Basaglia fu quello di lasciare i pazienti meno gravi in un ozio assoluto che li danneggiava, perché la noia mista a medicinali pesanti li lasciava inermi e senza speranza.
La scrittura di Alessandro Moscè non scivola mai in sensazionalismi, non si trovano mai nelle pagine descrizioni macabre o insistite scene di sesso, ma solo accenni fugaci. Lo scrittore non vuole vendere un libro adulterato e privo di morale per fare cassa. Ed è proprio la sua vocazione all’Umanesimo il motivo per cui l’autore tuttora presenta ancora il libro in giro, soprattutto nelle scuole. A giudizio di chi scrive questa lettura dovrebbe essere obbligatoria nei licei e negli istituti tecnici.
Le case dai tetti rossi
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