Le Case del soldato fra bordelli, osterie e il rifiuto del massacro
- Autore: Irene Guerrini, Marco Pluviano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Combattere la noia dei soldati nelle retrovie, sollevare temporaneamente dalle paure al fronte, provvedere materialmente al ristoro dei militari, ritemprarli sotto l’aspetto psicofisico e offrire forme di svago nel tempo libero. Tutto questo sono state le Case del soldato, moltiplicate durante la Grande Guerra, poi dimenticate come tante realtà di quel periodo e ora riscoperte in un saggio storico di Irene Guerrini e Marco Pluviano, Le Case del soldato fra bordelli, osterie e rifiuto del massacro, pubblicato nei primi del 2022 da Gaspari Editore nella collana Storica (formato 16,5x24, con numerose illustrazioni in bianconero, 101 pagine).
Un “nuovo, piccolo ma senz’altro prezioso libro”, commenta nella prefazione il docente universitario di storia Emilio Franzina.
Destinate al conforto materiale-spirituale e al controllo ricreativo dei militari, dotate di piccole biblioteche, sale di lettura-scrittura e servizi scolastici per analfabeti, le “Case del soldato” che vennero impiantate in varie parti del Paese e man mano anche al fronte sono l’oggetto “della panoramica esaustiva” realizzata in coppia da due “veterani” delle ricerche italiane in materia.
A loro agio con gli argomenti della prima metà del Novecento, non trascurano d’indicare un’ampia mole di fonti storiografiche, documentali e archivistiche.
Sempre Franzina rileva che un secolo fa, religiosi cattolici visionari come il sacerdote amatriciano e cappellano militare nella guerra di Libia Giovanni Minozzi e il barnabita padre Giovanni Semeria avevano preso a cuore le esigenze morali dei soldati già da anni. “Forse anche più di Agostino Gemelli, seppero gestire il tempo di riposo dei combattenti, sia a ridosso delle zone d’operazione sia nei centri urbani più vicini”. Misero a frutto la sostanziale delega concessa dal Comando Supremo, tanto a loro che “al milieu clericale per lo più modernista che li circondava”.
In Italia, le Case del soldato nacquero quindi in precedenza al conflitto del 1915 e fu in prima persona il cattolicissimo comandante in capo del Regio esercito, il generalissimo Cadorna, a incentivare quelle strutture di servizio, aperte in Europa tra l’Ottocento e il Novecento dagli eserciti di Svezia e Olanda, Francia e Svizzera.
A studiarne a fondo le principali caratteristiche è stato, nel 1911, il primo teorico italiano in materia, il capitano Agostino Dell’Oro Hermil.
Gli erano evidenti con preoccupazione i rischi di una carente salvaguardia della tenuta sociale e morale, della salute e dell’igiene di tanti giovani soldati arruolati o di leva. In massima parte di estrazione rurale e accasermati negli insediamenti militari ospitati nei centri urbani o immediatamente adiacenti, si trovano esposti alle tentazioni delle osterie e dei bordelli. Per contrastarne gli effetti deleteri, Dell’Oro Hermil suggeriva di istituire all’interno delle caserme delle Case per i soldati, ricordano Guerrini e Pluviano, magari nella semplice forma di una cantina, gestita da un graduato o da una cooperativa di reclute.
Le prime nacquero nelle città maggiori (Roma, Milano, Firenze, Genova) tra il 1912 e il 1913, con il sostegno finanziario di privati alto-borghesi, aristocratici e comunque conservatori di fede monarchica:
Non inclini, di norma, a intrattenere particolari rapporti con gli ambienti clericali.
Lo scoppio della Grande Guerra scompaginò questo schema sul nascere, perché da un lato suggerì l’ampliamento dei servizi ai soldati, dall’altro vide entrare in scena religiosi in cura d’anime, dotati di una visione modernista, certamente non ristretta. Non si dimentichi che dal 1870 proseguiva la rottura tra il Regno d’Italia e la Chiesa, per le posizioni intransigenti mantenute dai pontefici nei confronti dei Savoia, dopo la presa di Roma che aveva cancellato il potere temporale vaticano. Grazie alle Case del soldato, si verificò quindi un riavvicinamento alla Patria in armi anche del clero e del mondo cattolico più intransigente.
Minozzi, intraprendente quadro dell’Ordinariato militare - come l’illustre pensatore barnabita padre Semeria - venne chiamato da Cadorna ad assumere funzioni nel Comando Supremo, con un grado superiore al capitano. Oltre 30mila, secondo le stime più accreditate, i cappellani militari e i preti o chierici sotto le armi, alcuni con davanti un grande destino, come Primo Mazzolari, Giovanni Minzoni, Angelo Roncalli futuro papa Giovanni XXIII. Francesco Forgione, Padre Pio, servì di leva da infermiere militare a Napoli, pur ostacolato dalle pessime condizioni di salute anche in gioventù.
Vennero spese molte energie e risorse per aprire e mantenere le Case del soldato, di cui si è sempre parlato poco. D’altra parte, la tutela morale e il tempo libero delle truppe sono state sempre trascurate nelle ricerche, perché il racconto della guerra si è concentrato sulle battaglie, sulle condizioni di vita e di salute, sulla disperata nostalgia per familiari e amici, sul desiderio spasmodico della fine del conflitto. Anche nella posta militare i cenni sono rarissimi, tra gli alfabetizzati e gli ufficiali: la propaganda diffondeva nel Paese e tra gli stessi soldati un’immagine austera, quasi ascetica, dei combattenti, indotti per tante ragioni a conformarvisi.
Resta la domanda di fondo: le Case del soldato conseguirono gli obiettivi prefissati?
Secondo gli autori furono tra i mezzi che più contribuirono alla tenuta delle truppe, offrendo uno spazio fisico e psicologico nel quale realizzare non una vacanza dalla guerra, ma una pausa dalla continua tensione e dalla subordinazione, caratteristiche della vita militare.
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