Le conseguenze estreme di Eduardo Rebulla

Il 4 gennaio 1947, nei pressi di Piazza Lazzarini in Sciacca, intorno alle ore 21,30 viene barbaramente assassinato a colpi d’arma da fuoco, il ragionier Accursio Miraglia (Sciacca, 2 gennaio1896), sindacalista e politico di elevato spessore umano, che si era attirato il rancore e l’odio degli agrari e della mafia che vedeva venir meno il proprio potere sulle masse popolari che fino a quel tempo avevano quasi sempre ubbidito senza batter ciglio.
Aveva cinquantuno anni e lasciava la moglie (Irina nel romanzo) e due figli, e un movimento contadino che già aveva cominciato a pregustare l’assegnazione delle terre incolte espropriate ai latifondisti a seguito della legge Gullo, secondo cui:

“... la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.”

Si era alla fine degli anni Quaranta, nel primissimo dopoguerra, periodo in cui la fame, l’analfabetismo, l’ignoranza e la soperchieria facevano da padroni nella stragrande maggioranza della popolazione, meridionale in particolar modo. Accursio Miraglia aveva organizzato i miseri contadini e braccianti di Sciacca e dei paesi limitrofi in cooperative, appunto per sfruttare al massimo quella legge che avrebbe dato finalmente dignità a quei lavoratori che erano stati soltanto numeri o quasi bestie da soma.
Miraglia era stato la lucerna sopra il moggio, anzi il faro, per quelle migliaia di lavoratori che non sapevano in parte distinguere la propria destra dalla propria sinistra. Era stato la speranza che si faceva viva e combattiva, che affrontava tutte quelle situazioni in cui loro si riconoscevano impotenti.

Fu bancario, imprenditore – aveva una sua piccola industria ittica - conserviera –, rappresentante e commerciante di prodotti metallici in uso nei cantieri del porto, segretario del Partito Comunista di Sciacca, sindacalista, presidente dell’Ospedale, durante la cui presidenza ogni cosa fu messa al proprio posto e tutto funzionò magnificamente, quasi venerato e benedetto da tutta quella gente di Sciacca e dei paesi limitrofi che furono costretti a ricorrere alle cure del nosocomio saccense; membro della Commissione per l’assegnazione delle terre incolte alle cooperative, amministratore del Teatro Rossi.

Ora, a distanza di sessantasei anni, quell’atroce assassinio che ha scosso le coscienze di tutt’Italia e del movimento sindacale e politico meridionale, è rivissuto in un romanzo "Le conseguenze estreme" che il di lui nipote Edoardo Rebulla, apprezzato cardiologo-scrittore, ha dato alle stampe per le edizioni Baldini & Castoldi.

Si tratta di un romanzo che si legge tutto d’un fiato, e con un interesse tutto particolare, poiché ci fa rivivere quelli che furono i tempi in cui la famosa legge Gullo doveva dare finalmente la possibilità di cambiare le sorti di un mondo contadino che annaspava in condizioni economiche e sociali miserevoli, in balìa di uno sfruttamento disumano e violento che mortificava gran parte della popolazione.

Accursio Miraglia - nel romanzo Ramirez - ammiratore di Bakunin, già giovanissimo prende a cuore le sorti dei lavoratori, del mare e della terra, e di tutti quelli che vede sfruttati e prevaricati. Dà vita alla cooperativa “La madre terra” perché pensava che la spartizione delle terre incolte in tante piccole proprietà non avrebbe risolto i problemi dei lavoratori. Si è speso per loro nel sindacato non tralasciando di far sentire la sua voce anche all’interno del Partito Comunista in cui militava.

“Le conseguenze estreme” è un libro che andrebbe letto da tutti ma che è consigliato soprattutto ai giovani, affinché non vada perduta la memoria storica di un martirio perpetrato da quanti, mandanti agrari e mafiosi, alla fine degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta, hanno sparso il sangue innocente di Accursio Miraglia e di tanti altri, sindacalisti e politici, che si sono battuti per l’emancipazione delle masse.