In occasione della Festa del lavoro parlare di dimissioni sembra un paradosso, invece non lo è affatto. L’interessante saggio della sociologa Francesca Coin, Le grandi dimissioni (Einaudi, 2023), neo vincitore del Premio Leogrande dedicato ai temi civili e sociali del giornalismo narrativo di inchiesta, lo dimostra mettendo in luce come è cambiato, negli ultimi anni e soprattutto dopo la pandemia, il nostro rapporto con il lavoro. Il sottotitolo è illuminante, recita così: Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita.
Non si tratta di uno slogan battagliero fine a sé stesso, ma di un vero e proprio termometro sociale, campanello di allarme di un fenomeno attualissimo, ovvero le Grandi dimissioni (nell’originale Great Resignation, Ndr).
A partire dal 2021 negli Stati Uniti circa cento milioni di persone hanno lasciato il proprio posto di lavoro, scegliendo consapevolmente di sottrarsi a forme di vessazione, costrinzione e malattia e, soprattutto, dal continuo assillo che attanaglia chi lavora otto o nove al giorno, ovvero “non avere tempo”.
Dal motto, di presunta origine darwiniana, Il lavoro nobilita l’uomo al fenomeno delle grandi dimissioni: quel che è certo è che il tema del lavoro, nel XXI secolo, rappresenta un tasto dolente e forse ancora poco discusso. Ormai è finita la romanticizzazione dell’attività lavorativa iniziata nell’Ottocento, nel mondo post-pandemico le persone rivendicano una stanchezza mentale (e anche fisica) che non vuole più saperne di stare al passo con una società votata all’iperproduzione.
Scopriamo di più sul libro nell’approfondimento che segue.
“Le grandi dimissioni” di Francesca Coin: un libro per il 1 maggio
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In occasione della cerimonia di consegna del Premio Leogrande, tenutasi a Taranto sabato 27 aprile, Francesca Coin ha tenuto un discorso significativo in riferimento alle dimissioni volontarie, tuttora in crescita a livello mondiale:
Questo fenomeno è proprio il figlio di un modello produttivo che scarica su chi lavora non solo la precarietà, non solo i salari bassi, non solo contesti lavorativi sempre più pericolosi (...). Mi sembrava quindi interessante soffermarmi su questo che chiaramente non è risolutivo delle problematiche lavorative però mostra una consapevolezza del fatto che questo modello produttivo non funziona più.
L’autrice di Le grandi dimissioni dunque pone l’accento su un modello produttivo che non funziona più che è proprio ciò che denuncia nei capitoli finali del suo libro: il fallimento di un modello economico.
Il saggio di Coin si apre con una domanda strettamente legata alla nostra attualità: Perché lasciare il lavoro in un tempo di recessione è un privilegio? E si sviluppa nell’osservazione che stiamo assistendo alla fine di un’epoca in cui ancora si credeva che il lavoro garantisse “emancipazione”, “mobilità sociale” e “riconoscimento”. Oggi le persone, nota Francesca Coin nella nota introduttiva, abbandona il lavoro per sopravvivere. Il carico di lavoro - soprattutto mentale - oggi è diventato talmente elevato che la gente sente di non essere più in grado di sostenero e, semplicemente, nella scelta radicale tra lavoro e vita, sceglie la vita.
Cosa provoca le Grandi dimissioni?
Le “grandi dimissioni” - in Italia si parla di numeri meno elevati rispetto agli Stati Uniti, di circa 2 milioni di persone nel 2022 - sono causate, afferma Coin, dal rifiuto di un modello lavorativo fondato sulla competizione e l’iperproduzione.
Negli ultimi anni la narrazione del mondo lavorativo è tutt’altro che rosea: fa riflettere che, nel 2024, ci troviamo ancora a parlare di lavoro in relazione a sfruttamento, problemi di salute mentale, morti bianche e condizioni di lavoro difficili.
Sono nati persino neologismi, figli del nuovo millennio, per descrivere le condizioni di stress patite dai lavoratori: burnout (stress cronico e persistente associato al contesto lavorativo) e mobbing (insieme di comportamenti aggressivi e persecutori messi in atto nei confronti del dipendente sul posto di lavoro).
Le grandi dimissioni dunque non sono un atto rivoluzionario, ma una conseguenza, il riflesso di una situazione tragica: sono causate da organici aziendali ridotti all’osso, da salari bassi, pratiche anti-sindacali, dipendenti caricati da obblighi e doveri inimmaginabili. Di riflesso le persone oggi non percepiscono più il lavoro come un privilegio né come un sacrificio necessario: una volta messe alle strette seguono l’impulso di vivere, spesso associato persino al “non fare nulla”. Non è vero che la gente oggi non ha più voglia di lavorare, semplicemente ha capito - a proprie spese - che l’etica del lavoro non conduce più a nessun risultato, quindi tra una competizione sfrenata e uno sfruttamento becero, sceglie di vivere il proprio tempo in maniera più spirituale. Il lavoro oggi inoltre non paga come una volta, quando una sola persona poteva mantenere l’intera famiglia lavorando quaranta ore a settimana; quindi la gente si chiede “a che scopo?” Attualmente non solo l’introito economico è basso, ma spesso il mondo lavorativo comporta forme di violenza, frustrazione e vessazione che spingono molti dipendenti a reinventarsi in altri ambiti o, magari, a lavorare in proprio. Come sottolinea la stessa Francesca Coin, oggi “dimettersi” non equivale a non lavorare più o vivere in vacanza, ma significa trovare un’altra collocazione o reinventarsi magari spostandosi all’estero, oppure optando per un lavoro autonomo.
Le Grandi dimissioni nel mondo post-pandemia
Non dimentichiamo inoltre che la pandemia ci ha condotto a una nuova scoperta del concetto di tempo che si allontana dall’idea capitalistica di produttività. Il mondo, per circa un anno, si è fermato e d’un tratto ogni cosa è apparsa sotto una diversa prospettiva. Come osserva Francesca Coin per molte persone la pandemia è stata la rivelazione che si può lavorare anche in maniera diversa, aprendo di fatto la nuova frontiera dello smartworking e del lavoro agile che ha consentito alle persone di astrarsi dai contesti produttivi e rivedere la dimensione aziendale con lucido disincanto. Coin cita lo psicologo Anthony Klotz che ha parlato di epifanie pandemiche per descrivere questo mutamento di aspettative e finalità.
Nel mondo post-pandemia i lavoratori sono più disillusi e meno devoti a una presunta etica del lavoro votata al sacrificio o al culto del lavoro-passione, si è aperto un nuovo immaginario che Francesca Coin racconta nel suo saggio dandogli la giusta dimensione di fenomeno sociologico da non sottovalutare. Attraverso un’analisi non puramente quantitativa, ma qualitativa, fondata dunque sulle testimonianze delle persone e l’analisi del contesto, la sociologa dimostra che il lavoro svolge una funzione psicologica nella formazione del carattere umano, non è solo una fonte di sostentamento. C’è un nuovo dinamismo dell’identità individuale, per cui le persone non si identificano più totalmente con il proprio lavoro ma sono portate, in senso evoluzionistico ed esistenziale, a domandarsi: “chi sarei se facessi altro?” Il lavoro a tempo indeterminato non è più, come una ventina di anni fa, un destino obbligato.
Per questa ragione le persone oggi rifiutano di svolgere mansioni fisicamente estenuanti, mentalmente pressanti o umilianti, nelle “Grandi dimissioni” è anche in atto un fenomeno di riscoperta della dignità umana, di certo un valore che il 1 maggio celebra sin dagli albori.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Le grandi dimissioni” di Francesca Coin: un libro sul mondo del lavoro oggi
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