Al cinema il film tratto dal libro di Paolo Cognetti, Le otto montagne, premio Strega 2017, sorprende e commuove gli spettatori. È la prova che un romanzo intimo e psicologico può trasformarsi anche in uno sceneggiato intenso dalla rara potenza visiva.
Il romanzo di Cognetti è stato portato sul grande schermo dai belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Il film vede per protagonisti due giovani talenti del cinema italiano: Luca Marinelli e Alessandro Borghi. Le riprese si sono svolte interamente in Valle d’Aosta.
Dopo aver trionfato al Festival di Cannes 2022, dove si è aggiudicato il Premio della Giuria, la pellicola arriva nelle sale cinematografiche italiane incontrando il favore del pubblico.
Le otto montagne per due ore e mezza ci trasporta sull’alto delle cime innevate, in bilico sulle pendici di immensi ghiacciai, ci fa respirare il freddo dell’inverno montano, ma soprattutto ci conduce lentamente nelle profondità di noi stessi, trasformando così l’immagine della montagna nella perfetta metafora di un percorso interiore.
Scalare la vetta diventa l’emblema stesso del viaggio spirituale sotteso, in fondo, alla parabola dell’esistenza. Ma il senso è davvero arrivare sino in cima?
Il segreto è racchiuso nella parabola buddista delle “Otto montagne” che concepisce il mondo come una ruota con al centro il monte Sumeru e otto montagne come raggi.
Alla fine della visione riusciremo, forse, a rispondere all’enigmatica domanda posta dal saggio:
Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?
I due protagonisti, Pietro e Bruno - interpretati da Luca Marinelli e Alessandro Borghi - rappresentano i due prototipi umani opposti: il primo girerà le otto montagne, mente il secondo starà sulla cima del monte Sumeru. Ma non è la storia di formazione - né la risposta all’indovinello buddista - il vero punto centrale del film, così come non lo è del libro di Paolo Cognetti.
Il significato è da ricercare proprio nei silenzi, nelle immagini di quella natura prepotente e incontaminata che, dalla Valle d’Aosta al Nepal, tutto sovrasta: a ben vedere, non si tratta di una storia di amicizia né di ricerca di sé, ma riguarda qualcosa di più profondo, ovvero il rapporto dell’essere umano con il mistero esistenza in cui, suo malgrado, si ritrova immerso.
Scopriamo trama e recensione di Le otto montagne.
Le otto montagne: la trama del libro
Link affiliato
Pietro è un ragazzo di città. I suoi genitori sono fortemente legati alla montagna: esperti camminatori, si sono conosciuti, innamorati e sposati tra le vette innevate e i sentieri più impervi. La loro famiglia vive ormai nel caos e nel traffico della metropoli, che ben poco ricordano la libertà che si respira sui monti. Ma un’estate cambierà tutto, soprattutto la vita di Pietro. Insieme ai suoi genitori andrà in villeggiatura in un paesino chiamato Graines, ai piedi del Monte Rosa, dove conosce un bambino della sua stessa età Bruno, che fa il pastore. I due vivranno un’avventura incredibile insieme.
Vent’anni dopo, Pietro ormai adulto, torna in alta quota per ritrovare sé stesso e fare pace con il suo passato.
Recensione del libro
Le otto montagne
di Paolo Cognetti
Le otto montagne: la recensione del film
Lento e malinconico, Le otto montagne è un film che trova il proprio punto di forza proprio nei silenzi, nelle parole non dette, negli sguardi intensi e nella fotografia impeccabile di Ruben Impens che ci mostra una natura maestosa al limite estremo della sua potenza. Le montagne, immortalate in riprese degne di un documentario National Geographic, rubano la scena, ma non sono loro le vere protagoniste.
La prima parte è dedicata interamente all’infanzia dei due protagonisti e al consolidarsi del loro rapporto, così singolare ed esclusivo, che li terrà uniti per tutta la vita. Pietro è un bambino di città, timido, educato e tranquillo, mentre Bruno ha i modi grezzi e insolenti di chi è abituato a badare a sé stesso e a vivere allo stato selvaggio nel mezzo della natura. Le differenze tra i due vengono evidenziate soprattutto dall’uso del linguaggio: la cadenza torinese di Pietro bambino, la dizione pulita, si contrappone al dialetto rude di Bruno che dà alle cose il loro nome materiale, autentico, per cui non esiste la dimensione astratta della cosiddetta “natura”, ma el sentér, el fium, el Grenon e così via. Ogni distanza tuttavia si annulla nella spensieratezza del gioco, che fa scordare a Pietro l’atmosfera opprimente di Torino e a Bruno la sua condizione sfiancante di bambino-lavoratore.
A dominare la prima parte del film non è, però, solo la storia felice di un’amicizia, ma anche il rapporto - spesso complicato, fatto di incomprensioni - con il mondo adulto: le delusioni e i rimpianti dei genitori (interpretati dai bravi Filippo Timi ed Elena Lietti, Ndr), i loro silenzi, pesano sui due bambini e danno come un anticipo del loro destino. C’è il tempo della “leggerezza” e il tempo della “gravità”.
Quindici anni dopo Pietro e Bruno sono cresciuti e diventati due uomini molto diversi: il primo ha inseguito il sogno di un lavoro creativo come documentarista, mentre il secondo è rimasto a vivere in montagna, nella solitudine dell’alpeggio, tra i ghiacci. Quando Pietro torna in montagna, ferito nell’anima da un profondo dolore, i due si rincontrano e si ritrovano nell’impegno di una missione comune. Stavolta sono due visioni della vita a scontrarsi e, al contempo, a completarsi a vicenda: c’è il ragazzo di città e l’uomo delle montagne; l’aspirante scrittore e il montanaro.
Bravissimi gli attori, Luca Marinelli e Alessandro Borghi nel calarsi totalmente nei panni dei personaggi, abbandonando del tutto cadenze e inflessioni romane per simulare alla perfezione la parlata nordica e il dialetto chiuso, a tratti oscuro, del patois valdostano. Ammirevole soprattutto la trasformazione fisica di Borghi, i cui trasparenti occhi chiari quasi scompaiono nel folto cespuglio di una barba incolta da ultimo dei Mohicani, mentre Marinelli torna a conferire veridicità a un personaggio malinconico e riflessivo che sembra calzargli alla perfezione.
Le musiche lente dello svedese Daniel Norgren fanno il resto, accompagnando le scene con il filtro emozionale della malinconia che pervade ogni inquadratura come un triste presagio.
Le otto montagne mette in scena la vita, con le sue incomprensioni, i rimorsi, la memoria frammentata e distorta e l’ostinata ricerca che ostinatamente la muove. Tutto infine torna lì, al monte Grenon, che diventa lo specchio riflesso del monte Sumeru della leggenda buddista, la chiave di volta segreta che vuole metterci nel mezzo di una verità. Non è una narrazione confortante né a lieto fine, ma è proprio quel gusto dolceamaro che la pervade sin dalla prima scena che ce la fa amare.
L’asperità delle cime innevate infine penetra anche nell’anima dello spettatore, e questo è senza dubbio dovuto anche all’eleganza della scrittura di Paolo Cognetti. Il libro completa il film e lo arricchisce, facendo così emergere un rapporto di reciproca influenza e una necessaria compensazione tra narrazione e linguaggio cinematografico.
L’autore accompagna il film come voce narrante e fa la sua apparizione persino in un breve cameo al fianco di Luca Marinelli, che forse rappresenta il suo alter ego.
Le otto montagne e il trionfo al Festival di Cannes
Il film con Alessandro Borghi e Luca Marinelli, tratto dal romanzo di Paolo Cognetti Le otto montagne (Einaudi, 2016), si è aggiudicato il Premio della Giuria al Festival di Cannes 2022.
La pellicola, firmata dai registi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, ha vinto in ex aequo con Eo di Jerzy Skolimowski.
A darne l’annuncio in diretta è stata l’attrice italiana Jasmine Trinca.
Emozionato il commento di uno dei protagonisti, Alessandro Borghi che nel film interpreta Bruno, l’attore sul suo profilo Twitter ha scritto:
Che ondata d’amore incredibile.
Grazie.
È l’inizio di una corsa bellissima.
Poche parole con un cuore che batte posto come punto conclusivo, a simboleggiare tutta l’emozione e la gioia per questa vittoria.
Pieno di commozione anche il messaggio dello scrittore, Paolo Cognetti, che si è definito “molto fortunato” e felice di aver potuto partecipare da vicino alla realizzazione del film. Lo scrittore ha affermato che Le otto montagne non è un romanzo autobiografico, ma quasi, e che raccoglie molti elementi centrali della sua vita. Ha definito le riprese del film “coraggiose”, perché si sono svolte veramente in montagna, in mezzo ai ghiacciai, in alta quota.
Paolo Cognetti, soddisfatto per l’inaspettato trionfo a Cannes, ha definito il passaggio dal libro al film come un piccolo miracolo:
C’è un senso di miracolo nel vedere una cosa che nasce piccolissima, veramente un semino, diventare questo.
Le otto montagne: il trailer
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le otto montagne: trama e recensione del film tratto dal libro di Cognetti
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Einaudi Dal libro al film Paolo Cognetti
Lascia il tuo commento