Lettera d’amore e d’assenza di Sarai Shavit

Come si racconta una storia d’amore che dura nel tempo, ma è destinata al fallimento, servendosi solo di pochissime parole scritte su una lettera?
In Lettera d’amore e d’assenza (Neri Pozza, 2023) ci riesce con efficacia narrativa, grazie anche alla brillante traduzione italiana di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, la poetessa e scrittrice Sarai Shavit, molto attiva nella vita culturale israeliana, come insegnante di scrittura creativa a Tel Aviv.

L’autrice delle lettere è una studentessa universitaria al secondo anno di letteratura, che ha incontrato un professore, noto scrittore, ovviamente molto più grande di lei, e se ne è innamorata. Lui la corteggia, la desidera, si fa attendere, infine la possiede; lei costruisce intorno alla loro storia segreta momenti poetici, brani di scrittura straordinariamente acuta, brevi, icastici, taglienti, tutti tesi al racconto di una storia fortemente interiorizzata:

La pelle del tuo collo emana il profumo di un cucciolo appena rimasto orfano.

Scrive in una pagina luminosa, oppure:

(Lo scrittore di tutti / vuole solo me/ segna il mio corpo /bianco /unico).

Il rapporto tra i due è difficile: lui ha moglie, sta per avere un figlio, ed è molto esitante e guardingo a ufficializzare una storia proibita. Quando finalmente vanno a New York insieme, lui è ospite d’onore per una presentazione di un suo libro, lei lo segue radiosa, minigonna e ballerine; e al bar dell’hotel, dopo l’amore, scrive poesie su di lui che poi strappa rabbiosa.
Ma dopo, inevitabilmente, i due devono lasciarsi, malgrado un erotismo selvaggio, vicinanza di corpi e idee d’amore e morte, li avesse tenuti strettamente legati a lungo. Si incontreranno di nuovo casualmente a Chicago vent’anni dopo: lui è ormai un anziano scrittore calvo, i pochi capelli ingrigiti.

E ora, davanti a te, una bambina invecchiata. Io taccio, tu tieni un bastone da passeggio.

Le immagini evocate attraverso le parole fanno di questo piccolo libro una sorta di memoir intimo pieno di suggestioni, di carezze leggere, di abbracci timidi, di un sesso forte e trasgressivo, in una storia amorosa durata troppo poco, finita troppo presto.
L’autrice fa uso di una lingua cesellata, essenziale, ellittica, ma non per questo meno ricca di spunti pieni di ridondanze che non sono mai solo noiose ripetizioni.
Un talento grande, quello di Sarai Shavit, di cui parla con entusiasmo anche il più grande, ai miei occhi, rappresentante della narrativa israeliana, Eskhol Nevo. E certamente non sbaglia.