Logos vol. 19
- Autore: Non disponibile
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
Molto stimolante il titolo di un’antologia poetica che ho ricevuto qualche giorno fa: Logos (Dantebus edizioni, pp. 122, 2020), con prefazione di Massimo Gherardini. Gli autori sono otto: Leonardo Abate, Gilda Cecoro, Giuseppe Gallina, Eleonora Gallo, Alberto Luchitta, Tiziana Memoli, Claudio Perbellini, Eva Scalzi. A ognuno di essi è dedicata una scheda biografica; il curriculum è sempre indicativo della strada percorsa da un artista, per quanto scarno sia.
Il titolo scelto per esplicitare la loro ispirazione svela una visione comune del mondo classica, il valore dato alla parola poetica. È un valore alto, oggi giorno spesso misconosciuto, specie da quei critici che riducono la portata dell’essere poeti alla cronaca, al mero vivere quotidiano, a cui si tenta di dare un senso, non riuscendovi. Anzi troppo spesso è coltivato il dubbio sulla verità, non il dubbio metodico cartesiano, piuttosto l’accento viene posto sullo smarrimento, sulle molte verità della "doxa", che sono opinione personale insignificante. Allora chiediamoci: che ruolo ha la poesia nella vita dell’uomo? Cosa differenzia questa parola speciale dalle parole usate abitualmente? Sono domande fondamentali, implicite in questo titolo. La prima considerazione che sorge come risposta è che le parole correnti sono unicamente segni delle cose (da cui la semiotica), sono cose numerate con valenza quantitativa, mentre la poesia è simbolo, con significato qualitativo, e allude all’essenza. Possiamo rifarci a un frammento di Leucippo (Fr. 2) riferito a Eraclito, il primo filosofo che ha usato il termine "logos":
"Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo Logos e necessità".
Eccoci dunque a confrontarci, insieme agli otto poeti, con la parola, capace di dare senso al mondo. Senso nato da unione, correlazione, affinità e sintonia tra le parti, quindi legame, filo, significato globale. La parola "logos" viene dal greco "légo", legame. Tale è la poetica del libro, messa in luce dal prefatore che scrive:
"La poesia, dunque, possiede in sé la scintilla vitale che ha dato inizio al Big Bang. La parola è ricolma della potenza generativa che può mettere ordine nel caos”.
Scintilla vitale. Ugualmente Emily Dickinson, citata quale punto di riferimento, parla di luce, illuminazione della parola, da lei trovata, scritta e "guardata, / fino a quando non comincia a splendere".
Gli intenti degli autori sono dunque tali: trovare le parole lucenti. Sono metafore che si generano dal loro profondo; ogni autore si pone come spettatore di fronte all’emersione delle parole.
Gilda Cecoro scrive, non disdegnando la rima, che diventa traccia, ritmo vitale:
"Albero maestoso, / elegante e rigoglioso. […] Albero con foglie, fiori e frutti, doni per tutti. / Albero è piantare la speranza, / con solide radici in abbondanza!”
È l’albero-speranza contro ogni bufera, in questo tempo segnato dal coronavirus, che l’autrice non dimentica.
Eva Scalzi riprende Francesco Bacone: "La prima creatura di Dio fu la luce", e per parte sua tra le meraviglie del mondo fa riferimento alla luna:
"Falce di luna, / specchio lucente / mi specchio e / con me / specchio il mondo.”
Lo sguardo è onnicomprensivo con l’intuizione borgesiana che una cosa, nel caso di Borges una rosa "è infinità di cose". E il poeta è tutto:
"Io sono la pianta di pomodoro."
Tiziana Memoli pone attenzione ai rapporti sentimentali, al legame del cuore, che trascende i singoli, includendo anche gli animali. La rappresentazione dell’interiorità diventa teatro:
“Verità trucco parrucco costituiscono elementi scenici.”
Verità e trucco si identificano felicemente, dove il cuore con i suoi battiti gioisce “al suon di festa”.
Claudio Perbellini affronta la tematica della discrepanza tra avere, sembrare, ed essere, denuncia la menzogna del sembrare, fino a diventare surreale e a vedere una tigre sdraiata sul suo tavolo in cucina, il suo vero essere in quell’istante, e quindi si rifugia “tra le braccia di Dio”. Bellissima la sua "Noi", attestazione di coralità e universalità, "humanitas", in versi lunghi:
"Noi qui siamo malati di pioggia, di vento / siamo fratelli e sorelle di un pianto contento. / Noi qui non vogliamo guarire / che ci spaventa la vita più dello stesso morire.”
Leonardo Abate si interroga sulla natura della bellezza, trovandola, come Platone, in un "altrove" che permea di sé il mondo:
"Terra è luogo in cui / un’aura d’intenso, / fuggita è, da aule d’incenso.”
Ed è riflessa negli occhi ignari di un bambino. Il "cadere" (vedi "Grigio cadde") è una meditazione sofferta sul bene e il male:
“Cadde, per sradicare l’umano fiore del male, germoglio d’amore.”
Le facili rime e le assonanze sono una ricchezza in tutti, non certo semplicismo.
Giuseppe Gallina sceglie la tematica della guerra come fulcro portante dei suoi versi, sul suo orrore ma conserva la speranza e la fede che "il crepitio delle armi / non avrà presa su noi". È possibile, quando si comprende che l’arma è un feticcio, ipocritamente usata come difesa. Molto interessante il suo accostamento arma=erotismo distorto e sadico:
"L’arma […] che hai usato come fosse il tuo turgido sesso / che hai usato per uccidere inermi e indifesi”.
Egli posa lo sguardo sul Covid-19, che è "panico dentro", racconta l’eroismo delle infermiere e l’incontro con sorella morte:
"Dispiegare le ali / appoggiarsi al vento."
Manca un discorso sull’origine del virus creato in laboratorio. Peccato. Avrebbe portato lontano... Anche in relazione al bene/male di cui siamo intrisi.
Alberto Lucchitta forse più degli altri si esprime attraverso il paesaggio, la splendida costiera di Duino in cui fiorì la leggenda degli Argonauti. È, il suo, paesaggio d’anima, comprensivo di nascita, fioritura, splendore e morte, vista, contemplata nello sfiorire di una rosa; ma non dimentica "il cosmico appello «Lazzaro risorgi!»;", sa che la vita non ha fine, sempre ricomincia. La mitologia permea i suoi versi, restituendo la leggerezza di immagini eterne, come nel raccontare l’amore:
"Sei uscita come la bellezza di Venere / trionfante nella rinascita di Primavera / hai spezzato il mio capo come Atena / trionfante nella sua maglia di ferro.”
Amore e sapienza femminili sono unite, difficili da comprendere e accettare.
Eleva anche un canto funebre alle donne uccise "prede di famelici compagni..."
Eleonora Gallo canta la memoria. Enumera amori delusi, riflette sulle marionette che diventiamo in mano ad altri se permettiamo che siano i nostri padroni, con una danza di riscatto nell’autocoscienza:
"Gli sarebbe bastato guardarsi negli occhi / per scoprirsi rinato.”
Affronta il tema del suicidio nella metafora del clown che si spara sulla scena: è colui "che non era mai stato capito". Ecco allora l’importanza cruciale del dire, attraverso la poesia.
Sono otto voci originali, nutrienti, uniche ma unitarie. Diventano un florilegio in un bel libro da assaporare e centellinare verso per verso. Il volume 19 di Logos è un libro forte, doloroso e pure dolce, ricco di consapevolezza, in cui il filo "logos" si dipana per la comprensione e il gusto di vivere, sempre ritrovato.
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