Cos’è la libertà di raccontarsi? Avere cura delle proprie radici non sempre risulta essere un compito facile, tantomeno lasciarsi guidare dalle loro contraddizioni e da quell’imprevedibilità pronte a tradursi in parole nuove, lontane e pur sempre originali.
Oggi una delle principali forme di tradimento che possiamo operare nei nostri stessi confronti coincide con la negazione di quello che nel profondo ci ha sempre caratterizzato, operando di contro un processo di conformazione a delle norme che non si sentono proprie. E che, per l’appunto, declinerebbero la trama del nostro vissuto in una pura finzione, correndo così il rischio di non dare ai numerosi linguaggi che ci abitano il giusto peso, ossia quella libertà che dall’interno preme per farci prendere il volo. Quello dell’indipendenza.
Scrivere è un mestiere faticoso e forse un vero e proprio atto di coraggio. È possibile dare un nome alle numerose parole che compongono quei disordini interiori dai quali nascono le nostre storie?
Si chiama “inquietudine”, per quel che mi riguarda. Nasce tutto dalla capacità di “sentire dentro”, di essere in ascolto di sé, innanzitutto, e degli altri, dall’empatia e dalla sensibilità di cui si dispone.
Dove si apprende la libertà di raccontarsi? Ne ho parlato con lo scrittore Lorenzo Marone, a proposito del suo ultimo libro Le madri non dormono mai (Einaudi, 2022).
- Nel suo ultimo romanzo Le madri non dormono mai, edito da Einaudi, valorizza il forte e delicato equilibrio tra la libertà e l’assenza di essa. Secondo lei a quale libertà non dovremmo mai rinunciare?
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A essere quel che siamo, che può apparire frase fatta e retorica, invece è lo spirito della nostra esistenza, l’essenza del nostro viaggio, del nostro passaggio terreno. Cercare di essere il più possibile vicini alla nostra essenza, e migliorarsi di continuo, per arrivare a fioritura. Cercare di evolvere, di elevarsi. Tolte le libertà fondamentali dell’individuo, per noi occidentali questa è, a mio avviso, la massima libertà: poter assolvere il compito per il quale siamo al mondo.
- Diego viene descritto quale ragazzino troppo buono in un posto ostile, in cui la fragilità può essere scambiata per debolezza. Può tuttavia la diversità tradursi in una valida risorsa?
Assolutamente. Non conformarsi, non accettare il pensiero comune, non subire il fascino dell’omologazione, essere e restare curiosi, cercare una unicità, un’identità. Le persone che hanno migliorato l’umanità hanno fatto questo.
- Leggendo il libro mi ha colpito molto la figura di Melina, la quale custodisce “parole belle” sul suo quaderno. Al giorno d’oggi, quali parole ciascuno di noi dovrebbe avere la responsabilità di custodire, trascrivere e tramandare?
Le parole più importanti di questa epoca storica sono per me proprio ‘bellezza’, ‘empatia’, ‘cultura’, ‘compassione’. Abbiamo il dovere di insegnare ai nostri figli a saper scorgere la bellezza, a custodirla, e a condividerla.
- In molti dei suoi romanzi la città di Napoli viene descritta quale posto ricco di contraddizioni, colori, suoni, odori e altri irrinunciabili ingredienti, che in ogni istante non tardano ad affacciarsi alla memoria e al cuore di chi la vive ogni giorno. Per lei cosa rappresenta questa città?
Amore e odio, non potrebbe essere altrimenti. Sono in conflitto perenne con lei, con le metropoli, a dire il vero, ma le riconosco molti meriti; se sono quel che sono, è merito di Napoli. Senza la mia città sarei stato uno scrittore diverso senza dubbio.
- Essere madre è forse il mestiere più difficile al mondo, poiché accogliere il distacco dei figli vuol dire rinunciare ad un ruolo ricoperto per anni e correre il rischio di lasciare che tirino fuori gli artigli in un mondo spesso ostile per gente troppo buona. Miriam sarà in grado di accogliere questa sfida?
Essere genitore è il mestiere più difficile, e sbagliare è un attimo, nel bene e nel male. Non so di Miriam, so che spesso il meccanismo s’inceppa proprio in quel punto, soprattutto tra madri e figli, quando questi crescono, quando un genitore deve rinunciare e ritirarsi, senza star lì a chiedere niente in cambio per quel che ha dato, per gli anni spesi. Non tutti ci riescono, e fanno così danni enormi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Lorenzo Marone, in libreria con “Le madri non dormono mai”
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