In tutte le sue opere Ludovico Ariosto utilizza sempre la fantasia come strumento dei propri sentimenti i quali gli permettono di sopravvivere alla banale quotidianità del conformismo sociale.
Le ingiustizie della realtà in cui il poeta vive, insite anche nei particolari più insignificanti, lo spingono a un tentativo di edificazione di una società più giusta, seppur idealizzata. In altre parole l’intelletto dello scrittore genera in modo aprioristico i pensieri che vanno però adattati alla coscienza in modo che ragione ed esperienza risultino sempre bilanciate da una sana dose di ironia, anche quando quello per cui Ariosto agisce è frutto dell’artificio e della convenienza.
È in questo modo che lo scrittore costruisce il futuro nelle proprie opere, il quale si configura come una variante del passato visto cioè dall’ottica di chi vuole rinnovarlo poiché spera così di ritornare a godere dell’attimo (cioè del presente) come di "sana e condivisa follia".
La ricerca del piacere permette allo scrittore di viaggiare perennemente con la fantasia regalando al lettore momenti di soddisfazione, coincidenti spesso con il "locus amoenus" ricercato da quest’ultimo, nel quale Ariosto riflette le proprie inquietudini allo scopo di dissimulare un’esistenza precaria della vita, arrivando così all’illusione della realtà, cioè alla vita vista nelle sue determinazioni spazio-temporali oggettive.
In altre parole, più passa il tempo più l’interpretazione di fatti e avvenimenti conduce Ariosto alla constatazione della propria razionalità, doverosa poiché immersa nel vortice quotidiano della “follia condivisa” solo da coloro i quali, sensibili al dolore, possono paradossalmente vedere il mondo in modo ottimista:
Io, per la mala servitude mia,
non ho dal Cardinale ancora tanto
ch’io possa fare in corte l’osteria.Apollo, tua mercé, tua mercé, santo
collegio de le Muse, io non possiedo
tanto per voi, ch’io possa farmi un manto.“Oh! il signor t’ha dato...” io ve ’l conciedo,
tanto che fatto m’ho più d’un mantello;
ma che l’abbia per voi dato non credo.Egli l’ha detto: io dirlo a questo e a quello
voglio anco, e i versi miei posso a mia posta
mandare al Culiseo per lo sugello.(Satira 1, vv .85-96)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ludovico Ariosto: analisi della poetica dell’autore rinascimentale
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