Macchie rosse. L’operaismo italiano tra politica e lotta armata
- Autore: Gabriele Licciardi
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2014
“La generazione di cui ho fatto parte è stata la più incarcerata della storia d’Italia. Lo è sta ben più di quella rinchiusa nelle prigioni del ventennio fascista: molto di più”.
Lo scrive Erri De Luca il 22 febbraio del 2004 sulle pagine del francese Le Monde (cit. a pagina 183 di “Macchie rosse”). Sono parole che fanno pensare: come prima cosa ai numeri, all’entità dei numeri e delle vite che si sono bruciate durante i così detti anni di piombo. Poi come quella stagione di lotta politica - a dispetto del tempo intercorso - costituisca un evento traumatico ancora attuale, affatto metabolizzato dalla coscienza collettiva del Paese. In altre parole: gli anni di piombo non sono finiti mai. Allo stato dei fatti, in sede bibliografica, chi memorializza, chi stigmatizza la risposta repressiva dello Stato (che ha messo alla sbarra le idee) e chi si attesta sulla sponda della conservazione: lo Stato non poteva fare altrimenti, bene ha fatto a rispondere con fermezza agli attacchi eversivi che gli sono stati mossi. Come si vede, una volta di più la questione è ancora quella fra buoni e cattivi, a secondo di chi ha scelto con chi e da che parte stare.
Ribadisce Salvatore Lupo in prefazione a “Macchie rosse. L’operaismo italiano tra politica e lotta armata” (Gabriele Licciardi, NdA, 2014):
“E’ questa la situazione in cui tanti memorialisti e reduci sottovalutano sino a quasi cancellarla la variegata fenomenologia delle azioni eversive, della lotta armata e del terrorismo del 1977 e dintorni, o magari svalutano sistematicamente l’intenzione politica che ispirava queste azioni, riducendo il tutto a un mero meccanismo di autodifesa di fronte ai complotti dello Stato e delle classi dirigenti”.
Il saggio di Licciardi vanta, proprio sotto questo aspetto, una teleologia in controtendenza, a partire dal metodo di approccio all’argomento, rigidamente storiografico, coeso cioè alle fonti, analitico della galassia extraparlamentare di sinistra che negli anni Sessanta/Settanta ha prodotto buona parte dei quadri armati. Potere Operaio e Brigate Rosse, in primis.
Secondo Licciardi, insomma:
“(…) nessun cenacolo di intellettuali riuniti per discutere del ‘Capitale’, ma un gruppo di studiosi che insieme a molti quadri delle più grandi fabbriche di Milano e Torino, con l’apporto di qualche studente proveniente dalla neonata facoltà di sociologia di Trento hanno messo in campo una seria proposta politica, l’hanno divulgata e l’hanno anche praticata”.
Evitando la trattazione unidimensionale, Licciardi evita la trappola della meta-storia, consegnandoci un saggio asciutto, dal focus implacabilmente oggettivo, che dimostra (purtroppo ce n’è sempre bisogno), come nulla accade mai per partenogenesi. Muovendo da sempre più pressanti istanze operaiste, a un certo punto l’illegalità diffusa e la violenza organizzata dovettero apparire come il solo mezzo possibile per dar seguito alla lotta, una lotta politica che si era posta “scientemente” l’obiettivo del totale abbattimento dello Stato.
Gabriele Licciardi è del ’79, il suo sguardo sui fatti risulta giocoforza “terzo”, sgombro da pregiudizi, e questo suo “Macchie rosse” una prospettiva inedita attraverso cui inquadrare (illuminare) la notte delle Repubblica Italiana che non è finita mai.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Macchie rosse. L’operaismo italiano tra politica e lotta armata
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