Marcello Labor. Un uomo inseguito da Dio
- Autore: Vittorio Cian
- Genere: Religioni
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Esistono santi poco conosciuti o addirittura non ancora riconosciuti tali dalla Chiesa. È il caso del triestino Marcello Labor (1890-1954), che, arso di carità verso il prossimo fin dalla giovinezza, ha poi scoperto Dio e la vocazione tardiva di sacerdote. Fa pensare, per similitudine, alla celebre frase di Agostino, contenuta nelle Confessioni: "Tardi ti ho amato".
Vittorio Cian ne scrive una bella biografia in Marcello Labor. Un uomo inseguito da Dio (editrice Velar, pp. 48, 2013) con prefazione di Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste.
Tardi, perché egli viene ordinato sacerdote da monsignor Santin all’età di 48 anni nel 1939, dopo essere stato membro dei terziari francescani e aver superato brillantemente gli esami del seminario in tempo record.
Proviene da una famiglia ebrea alto borghese. Il padre, Carlo Loewy, di origine ungherese, a Trieste è un dirigente della Deutsche Bank. Miriam Forti, sua moglie, è pure figlia di personalità prestigiose. Tra le pareti domestiche si respira un’aria agnostica e laica, poco interessata ai riti religiosi. Il piccolo Marcello perde la madre, malata di nefrite, in tenera età. Il padre si dedica ai due figli maschi con tenerezza e sollecita guida. Il dolore cambia la sua mentalità e si avvicina ai testi fondamentali del cattolicesimo e così negli anni fa pure Marcello, attratto da Tommaso d’Aquino ma soprattutto da San Francesco, di cui ammira lo spirito di povertà e l’amore per tutte le creature.
Cambia il cognome in Labor nel 1912, anno in cui sposa, con rito ebraico, Elsa Reiss. Nell’adolescenza al liceo italiano, che poi divenne liceo Dante, aveva avuto come caro amico Scipio Slataper, con cui si intratteneva in discorsi letterari, ma viene ben presto conquistato dalla passione medica. Si iscrive alla facoltà di Medicina a Vienna e poi a Graz. Nel suo laboratorio polesano per lunghi anni cura gratuitamente i poveri, un giorno alla settimana a loro dedicato, comprando loro anche il cibo, specie la carne per i malati di tubercolosi. A Pola fonda in sostanza la geriatria, gli anziani all’epoca erano abbandonati a se stessi.
In precedenza, durante la Prima Guerra Mondiale è arruolato come ufficiale medico nell’esercito austriaco, prima a Lubiana, dove riceve il battesimo cattolico insieme a Elsa; non diventa praticante, ancora titubante riguardo agli aspetti liturgici. Viene trasferito in Galizia. Lì nasce la figlia Maria, che muore a due anni, colpita da difterite durante la gestazione. Il grande maestro ed educatore, il dolore, trasforma profondamente Marcello:
"Il colpo di questa morte sui giovani sposi fu terribile. Ma lungo le vie del dolore Dio si faceva strada."
Elsa dopo il parto riporta conseguenze fisiche gravi, protrattesi nel tempo. Mette comunque al mondo altri due figli. In seguito sviluppa una cancrena a una gamba che in fine dovette essere amputata e ciò provocherà la sua morte nel 1934.
Durante il conflitto mondiale il medico viene catturato dai Russi a Leopoli e imprigionato fino al 1918. In quel periodo la famiglia è dispersa e dominata dall’angoscia.
Labor, dopo la guerra, sceglie la sede di Pola per esercitare la professione, amatissimo dalla popolazione. Vi rimane dal 1920 al 1938. Il 1930 è l’anno della piena conversione alla fede. Nel 1938 chiude definitivamente l’ambulatorio, con l’intenzione di diventare sacerdote.
Dopo aver pensato all’avvenire dei due figli Giuliana e Livio, distribuisce i suoi averi ai poveri e si reca a Trieste, attratto dal vescovo di Trieste e Capodistria monsignor Santin, una grande figura spirituale e politica, a cui la città deve molto, specie per le sue difficili trattative con i nazisti in fuga, i quali prima della disfatta avevano l’intenzione di far saltare il porto, già minato.
Durante il fascismo il prelato difende ebrei e sloveni dalle persecuzioni. Labor, segretario del vescovo, è nel mirino come ebreo, deve lasciare il capoluogo giuliano nel 1944 e rifugiarsi in esilio a Fossalta di Portogruaro, territorio fuori dal "Litorale adriatico" nazista, dove è cappellano. Le sue prediche misericordiose unite all’operato riempiono nuovamente la chiesa che si era svuotata. Anche da lontano la gente arrivava in bicicletta, rischiando la vita, per ricevere la lui consigli e conforto. I paesani testimoniano fenomeni di levitazione per il fervore mistico della sua adorazione al Santissimo. Opera due miracoli, guarendo un bambino in deperimento mortale a cui nessun medico aveva saputo neppure trovare la diagnosi, soltanto con la preghiera. Guarisce una contadina paralitica senza uso di medicine.
Nel 1945 riprende il ruolo di direttore del seminario a Capodistria. Perseguitato dal regime titino, viene processato solo perché prete, condannato a un anno di lavori forzati e poi liberato a causa delle precarie condizioni di salute.
Nel 1947 monsignor Santin si reca a Capodistria per cresimare i bambini giunti da tutta l’Istria. Viene sequestrato, picchiato a sangue e gettato giù da un ballatoio. I titini non lo uccidono, sarebbe diventato un martire.
Labor diviene parroco della cattedrale di San Giusto a Trieste. Deve lasciare l’incarico perché eletto da Santin come rettore del nuovo seminario, ampliato dopo la perdita di quello di Capodistria.
Fino alla fine della vita la sua preoccupazione per i poveri, i profughi istriani e gli ammalati non viene mai meno. Tra le molte iniziative insegna anche alla scuola delle infermiere.
Muore nel seminario a Trieste nel 1954, dopo un infarto. "I suoi funerali furono un’apoteosi" scrive Cian. I suoi resti sono contenuti in un’urna nella basilica triestina di sant’Antonio.
Viene dichiarato “Servo di Dio” nel 2000. A quando la beatificazione?
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