Mario Gori. Nuvole nell’anima
- Autore: Marco Scalabrino
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Marco Scalabrino, l’attento e colto ricercatore dei poeti di Sicilia, ha recentemente pubblicato un saggio, degnissimo di nota, dedicato a Mario Gori (pseudonimo di Mario Di Pasquale): Mario Gori. Nuvole nell’anima (Abate, 2021).
Mario Gori, nato a Niscemi nel 1926 e morto a Catania nel 1970, fu poeta, narratore e giornalista. Studiò medicina e chirurgia all’università di Pisa, ma non completò gli studi universitari per poter soddisfare i suoi interessi letterari. Mentre andava maturando i suoi moduli espressivi da Ogni Jiornu ca passa (1955) a Un garofano rosso, diede un notevole contributo al “Trinacrismo”, movimento culturale sorto a Catania nell’immediato secondo dopoguerra al fine di rinnovare e valorizzare la poesia dialettale. Fondò e diresse tre riveste: “La Soffitta” (1957/61), “Il banditore del sud” (1961), “Sciara" (1965). Queste e altre dettagliate notizie biobibliografiche si trovano nell’opera di Scalabrino che si intitola Mario Gori. Nuvole nell’anima.
In copertina il dipinto a olio su tela, particolare "Nuvole nell’anima" di Rosaria La Rosa: come a indicare la conquista di un po’ di cielo, sembrano le nuvole, oltre al blu ondoso, schizzi di sangue giallo come lo zolfo siciliano ed evocano l’inquieta vita così assetata di poesia.
La documentazione è puntuale a partire da una memoria di Sciascia pubblicata su "L’Ora di Palermo" nel gennaio 1959.
È un investigatore il mio amico Scalabrino, un vigile bracconiere di documenti che gli occorrono per ricostruire le vicende letterarie di questo poeta a suo tempo amato e presto dimenticato. Me ne ero occupato negli anni Settanta in un mio articolo pubblicato nella rivista “La provincia di Ragusa”, e rielaborato nel 2020 per Sololibri.net; adesso Scalabrino riapre il discorso su questo poeta, in cui idealità e realtà, sogno e dramma sembrano i due poli d’una poesia elegiaca e raffinata, sensuosa e asciutta e anche attratta dall’onirico teatro delle rievocazioni.
Da un lato, lo slancio di voler credere in qualcosa gli fa richiamare le voci di un’infanzia affabulatoria e animistica. Ma l’incanto finisce presto quando Gori avverte l’estinguersi della favola nello scontro con la vita ostile. In quest’ottica, il libro di Scalabrino è complesso, ed egli è abile nell’assemblare organicamente i giudizi espressi dai numerosi critici al punto da elaborare un avvincente racconto, data la sua spiccata capacità affabulatoria. Ed è un incanto farsi trasportare da lui dentro lo scrittoio di Gori.
Le pagine, che amabilmente scorrono fluide l’una dopo l’altra, si soffermano sulla prima raccolta, Germogli, pubblicata a 18 anni con il suo vero nome, Mario Di Pasquale. E qui il poeta ci parla della sua quotidianità con parole immaginifiche e ritmiche che testimoniano l’influsso dei suoi maestri quali Ungaretti, Montale e il primo Quasimodo. Il primo capitolo conclude con una testimonianza di Gori, di rara rinvenibilità:
“Queste pagine che costituiscono il primo delitto poetico della mia adolescenza ti porteranno i germogli di quell’ulivo saraceno che oggi cerca di conquistarsi di un po’ di cielo. Pagine che il tempo ha invecchiato, ma che contengono ancora i miei primi sogni e le belle illusioni, in gran parte mortificate dal mestiere di vivere”.
Scalabrino, da grande innamorato della cultura siciliana, percorre in lungo e in largo la vicenda esistenziale e letteraria di Gori; con eleganza dà voce agli studiosi e si può dire che riesce a trasmettere questo suo innamoramento ai lettori che, motivati, vogliono saperne di più. Potremmo dire che l’amore dolente è l’isola felice nell’Isola da cui il poeta a malincuore si allontana per condurre gli studi universitari a Pisa. Amara è la perdita dei propri legami:
“Come un ramingo sono andato via / con la lacrima grossa del rimpianto / alle strade che amai, alle finestre / dove appesi i bei sogni dei vent’anni / un garofano rosso, una canzone”.
Allora il territorio diviene rappresentazione di vita e di morte per il fascino d’una fitta e intricata rete di magherie e di favole, e per le stimmate d’un mondo contadino e il suo silenzio in un succedersi di irrisolti soprusi. Racconta Scalabrino mille e più di mille dettagli, riportando alcuni testi poetici sia in dialetto che in lingua con raffinate annotazioni; il suo è un prezioso libro per la lucidità di una ricerca, non frettolosa, che riempie la mente e il cuore di meraviglia.
Il contributo più originale a me pare sia quello destinato al Gori prosatore: forse l’aspetto meno noto della sua produzione, dove, a dirla con Angelo Marsiano, si accosta al mondo paesano, usando arcaismi, proverbi popolari, costrutti propri del dialetto, senza corrompere la bellezza della lingua. L’equazione “scrivere equivale a essere” connota la personalità del niscemese. Egli difatti si identifica con la poesia e la poesia si identifica con il sentimento di una lacerata sicilianità. Opera in tale prospettiva Scalabrino per ricostruirne l’identikit. Ha l’eclettismo nel sangue e riesce a utilizzarlo sensibilmente con l’idea goethiana:
“L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna idea nell’anima: qui si trova la chiave di tutto”.
Per il resto e per fortuna, accostandoci alle poesie di Gori, grazie a quest’opera di ripescaggio di un frammento della Sicilia letteraria, riusciamo ancora a sognare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Mario Gori. Nuvole nell’anima
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