Negli occhi la guerra, nel cuore la libertà
- Autore: Luigi Baù
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2023
Nella prima parte del secondo conflitto mondiale, la classe di leva 1924 venne chiamata nel corso del 1943. Tra gli altri, il giovane fante torinese Gino rimase sotto le armi quattro mesi, dall’11 maggio, in Piemonte, riuscendo a lasciare la caserma nei giorni seguenti l’armistizio dell’8 settembre, convinto come tanti che per gli italiani la guerra fosse finita. Non fu così, visto che copre i due anni successivi il suo diario militare che il figlio Carlo ha tenuto a far pubblicare, ottant’anni dopo e a quasi dieci dalla morte dell’ex soldato ventenne. È nato così un libro rilevante per contenuti, sebbene ridotto nel formato, 10,5×17,5 cm, della collana Narrativa delle Edizioni torinesi Yume: Negli occhi la guerra, nel cuore la libertà 1944-1945 (novembre 2023, 144 pagine, con alcune foto in bianconero concesse dalla famiglia) di Luigi Baù.
Luigi, detto “Gino”, è stato marito, padre di famiglia, gran lavoratore, prima panettiere, poi commerciante. Ha combattuto nella seconda guerra e ha continuato anche dopo, una volta tornato “borghese” tra borghesi. Ha voluto andarsene da questa vita nel gennaio 2015, finalmente libero.
Auto congedatosi dal Regio Eercito nel settembre del 1943, Gino aveva raggiunto i genitori, sfollati a Morano sul Po, in territorio monferrino, ma era stato raggiunto a sua volta, nei primi giorni del 1944, dalla chiamata di leva delle classi 1923-24-25 nel territorio della Repubblica mussoliniana di Salò, pena la morte per fucilazione. Non avrebbe voluto rispondere, come tanti coetanei coscritti, ma per i renitenti le alternative erano soltanto due: raggiungere i partigiani in montagna o lavorare in un’azienda impegnata nella produzione bellica. Non fece in tempo a trovare occupazione in una fonderia e non potè che presentarsi al Distretto militare di Torino. Cosa che fece il 28 febbraio 1944, dopo aver salutato parenti e conoscenti, vecchi amici e amiche.
Rispose alla chiamata e venne stipato con tanti nella caserma Cernaia, insieme all’amico Luciano, con la speranza di restare uniti e l’illusione che un giorno o l’altro potesse ripetersi l’8 settembre. Con il suo buon carattere. allegro e portato all’ottimismo, pensava che i Tedeschi sconfitti sarebbero tornati in Germania e loro due a casa, definitivamente. Si accorse che era un’idea sbagliata. Da allora, prese ad annotare le sue vicende, che possiamo seguire in questo diario.
“Una grande cosa mi consola, quella di scrivere giornalmente i miei avvenimenti su questo piccolo diario e qui poter scrivere veramente tutto quello che penso, perché quello che scrivo a casa è metà fantasia e poca realtà”.
Le esperienze di Gino valgono un romanzo d’avventura e sono tutte da leggere. Ha un significato anche la sintesi premessa amorevolmente e con giudizio dal figlio Carlo.
Dal febbraio ’44 al giugno ’45, il diario attesta il quotidiano personale di papà Luigi, che volgeva attorno uno sguardo intelligente, registrava pensieri, comportamenti, avvenimenti, “con il cuore che soffriva per le persone e per gli eventi e che talvolta gioiva delle persone e degli eventi”. Sigillava tutto nella mente, piccole cose, traumi, ricordi che si sarebbe portato dentro per tutta la vita. Rappresentavano un “fardello scomodo”, che non è mai riuscito ad abbandonare, forse perché tanto “pesante” da non poterlo condividere con qualcuno, riuscendo finalmente a elaborare il passato e lasciarlo andare.
Tanto vissuto particolare e tanta sensibilità, gravati dal disagio di non poterli comunicare a nessuno in grado di comprenderli, finiscono per infliggere una lunga sofferenza:
“il dolore della memoria, portato avanti nel tempo quasi immutato, incastrato dentro, non perdonato”.
Gino, ventenne, si era ritrovato in un tunnel buio di eventi storici crudeli, assassini. Il senso di umanità era bandito nel presente in armi, spianate le une contro le altre, senza pietà. “L’oscurità è senza tempo”, aggiunge Carlo, valeva ieri e vale ancora oggi, si guardi all’Ucraina, alla Palestina, dovunque l’uomo aggredisce l’uomo.
Dice che il padre aveva provato a squarciare le tenebre fuggendo da “sotto” i tedeschi, per ritrovarsi “sotto” le camicie nere e poi anche “sotto” i partigiani. Non era solo e quindi ancora più spinto all’azione. Come molti ragazzi di allora è stato costretto a impugnare le armi, fino alla fuga dal Veneto e dalle uniformi, per tornare avventurosamente in Piemonte, tra gli sfollati da Torino in un paesino in provincia di Alessandria, dove incontrò la futura moglie.
Imperdibile il racconto, nella semplice scrittura di chi proveniva da una famiglia di umili origini e non aveva completato grandi studi - non li amava - un uomo vero che ha sempre combattuto per riprendersi la libertà, tutta la vita, sui fronti della guerra e nelle trincee civili invisibili del dopoguerra.
“Si nasce in un certo modo. Si vive in un certo modo. Si muore tante volte, l’importante è comprendere il perché si è arrivati fin qui”.
Dopo il 1945, Gino ha continuato a non limitarsi solo a stare a guardare. Ha fatto figli, ha lavorato per ricostruire, ha contribuito al miracolo economico dell’Italietta, che a forza d’iniziativa industriale e di tante braccia si è lasciata indietro lutti e rovine, risollevandosi, avviandosi a diventare quella potenza mondiale che prima aveva solo il miraggio d’essere (ma non era), alimentato dalla propaganda del Ventennio.
Ogni volta che ricordava, Gino soffriva. A quel punto, interrompeva il racconto a metà, gli occhi s’inumidivano... non c’era verso di dimenticare e tuttavia non riusciva a dire... fino alle pagine di questo diario, che non devono andare perdute.
Negli occhi la guerra, nel cuore la libertà
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