Nella colonia penale
- Autore: Franz Kafka
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
Franz Kafka (1883-1924) è stato uno degli autori che hanno più influenzato la cultura del Novecento. Il grande pubblico conosce alcuni libri, come “La metamorfosi”, “Il processo”, “America”, ma Kafka ha scritto anche racconti brevi, come questo intitolato “Nella colonia penale”.
Sin dall’inizio del racconto, troviamo da subito l’atmosfera surreale che contraddistingue gli scritti di Kaka:
“È un congegno strano, disse l’ufficiale all’esploratore, dominando con uno sguardo per certi versi colmo d’ammirazione l’apparecchio...”
Quell’apparecchio è una macchina che ha la funzione di incidere per ore la pelle dei condannati, provocandone una lenta e insopportabile agonia fino ad arrivare alla morte.
Molti sono gli spunti di riflessione offerti da questo racconto. Alla figura dell’ufficiale, che ad ogni costo vuole mantenere la macchina contro il parere del nuovo comandante, si può accostare quella del padre di Franz Kafka. Quest’ultimo era un uomo che si era costruito da solo le sue ricchezze e che trattava con profonda durezza i figli, rinfacciandogli il loro benessere. Questa situazione è drammaticamente descritta nel testo epistolare intitolato “Lettera al padre”.
I romanzi di Kafka hanno però un carattere metastorico perché sono in grado di descrivere delle costanti della mente dell’essere umano, ossia degli aspetti che, al di là dello spazio e del tempo, riemergono continuamente. Ed ecco allora che la figura dell’ufficiale esprime il lato sadico dell’essere umano. Questo aspetto emerge chiaramente dalla descrizione che l’ufficiale fa della macchina e della gente che assiste alle esecuzioni:
“Era impossibile accogliere tutte le richieste di poter assistere allo spettacolo da vicino... Come spiavano tutti quanti l’espressione trasfigurata su quel viso martoriato! Come protendevano le nostre guance verso lo splendore di quella giustizia finalmente raggiunta...”
In questo passo si delinea bene la differenza fra chi fa giustizia, applicando una pena proporzionale al fatto illecito commesso, e chi usa la giustizia per avere il pretesto e l’occasione di commettere orrendi crimini o, meglio, di sfogare la sua cattiveria, che altrimenti dovrebbe reprimere. E quell’apparecchio di tortura può essere assimilato a diversi fatti storici: al modo in cui molti religiosi fanatici hanno ammazzato e ammazzano per affermare il loro “giusto principio”, oppure ai genocidi commessi da nazisti, fascisti e comunisti per affermare un modello di “società giusta”.
Franz Kafka nei suoi scritti rivive il rapporto con il padre (che punisce i figli per educarli e “renderli giusti”) ma descrivendo tale rapporto lo trasforma in un elemento universale della storia dell’umanità.
Un altro aspetto fondamentale riguarda invece un sadismo più specifico, che è quello del potere. L’ufficiale ha potere sul condannato (come il padre sui figli) e può essere paragonato al potere di oggi che, nonostante l’enorme potenziale della tecnica che potrebbe soddisfare le esigenze primarie di tutti gli esseri umani, non pensa ai bambini affamati e alle persone in stato di severa indigenza; forse per sadismo o per mantenere lo status quo, o forse ancora per quell’incredibile voglia dell’essere umano di crearsi un’illusione che lo faccia sentire superiore rispetto a chi è più povero e meno istruito.
Gli spunti di riflessione che mi ha offerto e mi offre questo racconto sono innumerevoli; esso è come una scatola che si apre, e ne contiene infinite altre. Le scatole sono le idee, che un narratore come Franz Kafka non smette mai di suscitare nel lettore.
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