Il Neofederalismo. Unica via possibile all’indipendenza del Popolo Veneto
- Autore: Damiano Minante
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Di solito evito di recensire un testo scrivendo in prima persona, ma in questo caso ho scelto di fare un’eccezione, dovuta al riferimento a un fatto di cui conservo memoria (seppur molto vagamente). Sono nato nel 1992 e, da quando sono venuto al mondo, mio padre, che ha prestato servizio militare come lagunare, tra i suoi tanti insegnamenti, ha cercato di raccontarmi la storia del governo dei Dogi.
La notte tra l’8 e il 9 maggio 1997 è stata la più strana della storia recente della città di Venezia: in quelle concitate ore i Serenissimi hanno assaltato il campanile di San Marco, con la speranza di mantenerne il controllo sino al 12 del mese (anniversario della fine della Repubblica di Venezia). Ero piccolissimo, eppure ho un vago ricordo di quello strano momento: rivedo mia madre che torna a casa dal lavoro e con noncuranza descrive le reazioni dei suoi colleghi ai notiziari, non avevano preso male l’accaduto, ma a nessuno parve che la circostanza fosse seria. Diversa fu la reazione di mio padre, il quale (naturalmente fedele all’esercito italiano) rimase molto turbato dal tentativo di rivolta orchestrato dai secessionisti, in cui giustamente riconobbe un attacco alla convivenza e all’amicizia tra i popoli italiani. Sono queste le mie rimembranze ovattate di bambino.
Ogni veneto ha vissuto l’avventura del “Tanko” in modo differente. Al padovano Damiano Minante la vicenda ha ispirato l’idea di un pamphlet sul federalismo, che ha pubblicato con Il Cerchio nel 2013: Il Neofederalismo, unica via possibile all’indipendenza del Popolo Veneto. L’opera è dedicata anche a Gianfranco Miglio (1918-2001), che l’autore considera tra i più eminenti pensatori federalisti, a suo giudizio il più attuale. Il libro di Minante è strutturato per fornire un’infarinatura generale sulla storia del federalismo e delle sue dottrine: esso è ideologia, forma di stato e modalità di organizzazione territoriale.
Già nelle prime pagine si cerca di distinguere il concetto di federazione da quello di confederazione: la prima è definita come un’unione con condivisione di sovranità, prevede la presenza di un potere centrale che regola i rapporti tra gli stati membri e agisce direttamente sui cittadini, mentre la seconda è un’alleanza priva di sovranità e provvista solo dei poteri che le conferiscono gli stati membri:
“Pertanto la Confederazione si basa sul principio della “rappresentanza degli Stati” e non dei cittadini, sono gli Stati a prendere le decisioni che riguardano i rapporti interstatali. Per di più, la Confederazione si caratterizza per la presenza del “diritto di veto”, ossia qualora uno Stato della Confederazione non condivida una determinata decisione può opporsi ad essa ed impedire che venga preso un voto all’unanimità paralizzando dunque l’adozione del provvedimento stesso”.
Il federalismo richiede maturità, se imposto a popolazioni che non lo hanno adeguatamente interiorizzato come progetto politico è destinato al fallimento. Nell’impostazione federale va quindi prestata un’attenzione costante al rapporto di tensione tra pluralità e unità.
Segue un riassunto di profili selezionati dei maggiori intellettuali di riferimento per il federalismo. I centralisti italiani sono soliti criticare gli stati preunitari della Penisola asserendo che essi tenevano insieme con la forza province divise da forti spiriti municipali (pensiamo ad esempio alla secolare rivalità tra padovani e veneziani), ma il politologo sottolinea che questo ragionamento è tutt’altro che arguto e cita un’osservazione di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) sul Risorgimento: “Qui l’unità è cosa fittizia, arbitraria, pura invenzione della politica, combinazione monarchica o dittatoriale che non ha niente in comune con la libertà” scriveva il socialista francese, “La critica dei liberali, ostili alla Casa di Napoli, faceva notare che i Siciliani non hanno mai potuto soffrire i Napoletani: perché ora si vuole che sopportino i Piemontesi?”.
Così la questione si ricollega a Carlo Cattaneo (1801-1869), che ispirandosi alla Svizzera e agli Stati Uniti cercò un modello adatto per l’Italia e formulò un federalismo municipale. Nel suo articolo La città considerata come principio ideale delle istorie italiane (1858) egli affermò: “Fin dai primordii la città è altra cosa in Italia da ciò che ella è nell’oriente e nel settentrione. L’imperio romano comincia entro una città; è il governo d’una città dilatato a comprendere tutte le nazioni che circondano il Mediterraneo”. Il miglior regime per gli italiani dovrebbe seguire e rispettare questa conformazione mosaicale.
L’elenco di figure chiave continua con i maestri del Novecento: quello del veneto Silvio Trentin (1885-1944) è chiamato federalismo “antropologico” e Daniel J. Elazar (1934-1999) è menzionato come il vero teorico del neofederalismo, cioè la soluzione che costituisce il fulcro dell’opuscolo:
“Per il neofederalismo […] le istituzioni politiche sono associazioni di individui liberi e sovrani, i quali non cedono la propria libertà, ma affidano ad un’istituzione una parte dei propri poteri ed accettano le leggi che tale istituzione promulgherà. Dunque, l’elemento centrale, fondamentale delle teorie neofederaliste di Elazar è l’individuo in quanto tale: solo ad esso spetta decidere se federarsi o meno con altri individui mediante un patto, un rapporto di natura contrattuale”.
L’interprete del neofederalismo più caro al saggista – come anticipato – è però Miglio, il quale riteneva che esso si distinguesse dal federalismo classico perché a differenza di quest’ultimo non desidera generare presto o tardi uno stato unitario, ma crea un approccio istituzionale stimato adatto a tutelare, gestire e garantire le diversità. In passato il federalismo è servito per unire i popoli, mentre nel futuro, per Miglio, deve disintegrare gli stati centralizzati e trasformarli in nuove realtà.
Minante critica al suo mentore l’idea di Padania, storicamente insussistente, e la contrappone al Popolo Veneto che invece avrebbe tutte le caratteristiche per edificare una sua “narrazione nazionale” partendo dagli antichi Venetici.
Leggendo questo libretto mi sono sorti alcuni pensieri. Personalmente ritengo che le piccole patrie possano vivere veramente tranquille solo sotto la protezione di un impero che gli garantisca la giusta autonomia. Non ho mai creduto nel concetto moderno di nazione, e penso che la retorica nazionalista di molti stati si fondi sulle visioni e sulle invenzioni dei romantici. Ciò detto, perché agli occhi dei progressisti alcune tesi nazionaliste hanno più valore di altre?
La Regione Veneto, così com’è oggi, è nata con lo Stato Italiano. È esistito un regno, costruito dall’Impero d’Austria dopo la sconfitta di Napoleone, che si chiamava Lombardo-Veneto e a quell’epoca si è usato ufficialmente il termine “Veneto” (ma non come sostantivo) per indicare un’entità territoriale. Prima esisteva il Veneto Dominio, ossia i dominii della Repubblica di Venezia, ma il suo territorio non fu mai uno stato-nazione moderno, bensì appunto l’insieme dei dominii di una città. Geograficamente, sin dalla Classicità, si è sempre parlato "della Venezia".
Ciononostante, resta il fatto che un’area grossomodo corrispondente a quella della Regione Veneto (pur senza separazioni da altri possedimenti veneziani) è stata unita sotto il governo di uno stato indipendente (cioè la Repubblica di Venezia) per una quantità di tempo considerevole e presenta una storia sufficientemente coerente da far invidia a parecchi stati africani, asiatici e anche europei di cui nessun progressista si azzarderebbe a mettere in dubbio il diritto ad esistere. Perché le riflessioni dei nazionalisti moldavi dovrebbero avere più valore di quelle degli etnonazionalisti veneti? Probabilmente, se i vari nazionalismi avessero una completa libertà di movimento il mondo si frammenterebbe in etnostati sempre più piccoli e piomberebbe nell’anarchia. La realtà è che la differenza tra l’indipendentismo veneto e un qualsiasi irredentismo romantico nato in una qualche regione d’Europa, dell’Asia o di un altro continente dipende solo ed esclusivamente da ragioni legate agli interessi delle potenze di turno.
Il giornalista Francesco Jori costata che “è venuta maturando una vera e propria “questione veneta” peraltro affrontata più a colpi di slogan che a scavi sul campo; e che ormai da oltre tre decenni oscilla tra rivendicazioni di autogestione e pulsioni di strappi da un’Italia vissuta da molti come nemica. Suggerendo peraltro una domanda terra-terra, al di là delle posizioni di parte: come mai nessun’altra realtà territoriale ha rivendicato così a lungo e con forza una propria autonomia, senza mai essere finora riuscita a portarne a casa neppure una briciola?” (La storia del Veneto, Edizioni biblioteca dell’immagine, Pordenone 2018).
Ciò che tuttavia, oggettivamente, si nota provando a studiare i gruppuscoli indipendentisti veneti è una diffusa assenza di consapevolezza politica, una carenza di formazione, di realismo, di concretezza e, in ultima istanza, di presentabilità.
Quanto ai federalisti e agli autonomisti contemporanei (che non sono una realtà sovrapponibile ai secessionisti), essi mancano innanzitutto di una preparazione politica, in secondo luogo di costanza e in terzo di un partito credibile. In Italia illustri fautori del federalismo hanno partecipato al Risorgimento e alla Resistenza, e dovrebbe spettare innanzitutto ai federalisti di oggi il compito di ricordarli e di mettere in luce le loro opere.
Il breve fascicolo di Damiano Minante è un manifesto ideologico, ma ha un tono parzialmente neutrale, nel senso che lascia aperte diverse strade percorribili, tentando di fornire degli spunti per iniziare un approfondimento basilare del pensiero federalista. Secondo un altro punto di vista si potrebbe giudicare che il testo è poco preciso nei suoi obiettivi, ma ciò è dovuto al desiderio di essere inclusivo. Sarebbe il caso che gli aspiranti politici federalisti prendessero esempio dal lavoro di questo scrittore, cercando perlomeno di produrre una bibliografia politica di qualche spessore culturale.
Il neofederalismo: unica via possibile all'indipendenza del popolo veneto
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