Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano
- Autore: Antonio Ortoleva
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2021
“Non c’è stata idea per cui gli uomini abbiano combattuto con cuore puro ed abbiano dato la vita, che non sia andata distrutta.” T. Mann
Nella Resistenza italiana c’è poca storia dedicata ai partigiani di origine meridionale, come se il momento storico non avesse coinvolse il Sud. Eppure non è stato così: tanti giovani, con la loro scelta coraggiosa, entrarono a far parte della guerra di Liberazione. Giovani operai, agricoltori, studenti a cui tanto dobbiamo, come Jacon, il giovane ragazzo dai capelli biondi ritratto nella fotografia della copertina del libro Non posso salvarmi da solo. Jacon, storia di un partigiano (Navarra Editore, 2021). Jacon, Giovanni Ortoleva, era nato in un piccolo paese delle montagne delle Madonie e morì ventenne sulle montagne della guerra partigiana in Piemonte. Questo libro, fortemente voluto dall’autore Antonio Ortoleva, giornalista e saggista siciliano, narra del suo sacrificio, della sua breve vita, non dimenticando altri giovani arruolati nelle Brigate di Liberazione del Nord e poi uccisi, come il giovane studente di medicina Giacomo Picciolo di Milazzo, morto in combattimento a Borgosesia nel marzo del 1945.
Giovanni, quarto di sette figli, poco più che adolescente divenne capofamiglia a seguito dell’ictus che colpì il padre. A Isnello, paese di pizzi e di ricami al tombolo, “antichissimo e perciò pieno di profonda nobiltà” scriverà Carlo Levi, vivevano pastori e contadini e Palermo, nella loro mente, sembrava appartenere a un mondo a parte, lontano, oltre oceano come l’America, affacciata su quel mare che aveva visto tanti e tanti nostri italiani emigrare. Non era una semplice partenza la loro, ma La spartenza, così raccontata da Tommaso Bordonaro, che nella parola ha saputo magistralmente definire il separarsi dai propri affetti, dalla propria casa, dalla propria terra.
La storia di Giovanni dopo mezzo secolo è venuta alla luce grazie a documenti ritrovati dall’ANPI, dalla testimonianza dell’unico partigiano sopravvissuto Sergio Canuto Rosa, soprannominato Pittore, e raccontarla, scrive l’autore nella sua nota, è un antibiotico naturale che mantiene vitali gli enzimi della fratellanza umana anche nella fase di dolore e di tragedia che in qualunque vita potranno far capolino.
Il 10 giugno del 1940 con l’entrata in guerra accanto alla Germania, Giovanni venne chiamato alle armi e poi rimandato a casa in quanto capofamiglia. La verità storica fu in quel momento la nostra impreparazione nel dover affrontare una guerra. Nel febbraio del 1942, appena ventenne, richiamato partì per il fronte in Piemonte, nel reggimento di artiglieria di Vercelli. L’8 settembre del ’43 le truppe italiane erano allo sbando, e dismessi i panni di soldato, soccorso inizialmente insieme ad altri militari dalla gente dei villaggi, dalla loro generosità nell’ospitarli, Giovanni decise da che parte stare e scelse di essere partigiano, con il nome di Jacon, compagno della 109 esima Brigata Tellaroli, fuggiasco in montagna.
“Giovanni era uno di questi ragazzi apolidi, senza divisa e identità, ma soprattutto senza più una patria né generali, ragazzi allo sbaraglio in una guerra senza senso e suicida...”
La sua presenza divenne motivo di vanto tra gli uomini quasi tutti valligiani che ne ammirano l’indole amichevole e allegra. In montagna, in un momento tragico per l’Italia con le rappresaglie naziste, braccato, senza scarpe, senza cibo, era motivato solo “dall’idea di rifare l’Italia a misura di uomini e donne”. Il comitato di Liberazione lo invierà alla sede di Crevacuore, per azioni contro i locali presidi fascisti. Jacon marciava un passo dietro l’altro, “ad ammorbidire la fatica”, e durante gli otto mesi vissuti con la brigata piemontese, tra i morsi della fame e i piedi gelati, con al collo il fazzoletto rosso segno delle Brigate Garibaldi, sentiva quella terra come la sua.
Fatto prigioniero dai fascisti insieme ai suoi compagni, venne condotto al comando tedesco. Rifiutò l’aiuto di un comandante fascista proveniente dal suo stesso paese e dopo aver subito torture e sevizie morì con altri diciannove partigiani il 9 marzo del 1945.
L’armistizio aveva diviso l’Italia e aveva reso nemici i fratelli, l’uno contro l’altro, tra bombardamenti, rappresaglie e l’illusione di una pace che tarderà a venire. “Non posso salvarmi da solo voi siete parte di me”, continuerà a essere ricordata come “l’atto di distinzione” di Jacon nel non voler tradire se stesso e i suoi amici. Tornerà a Isnello nel 2011, sessantasei anni dopo l’eccidio in Piemonte. Una storia che va scritta perché non se ne perda la memoria, dirà il sindaco, accogliendo le sue ceneri. Una storia partigiana non conosciuta a tanti, forse come altre, “un frammento della lotta di liberazione dal nazifascismo”, ma anche una dolorosa vicenda umana. La coerenza, l’onore, la solidarietà di Giovanni, unico meridionale tra i venti martiri di Salussola, lo rappresentano appieno quale giovane siciliano dai capelli biondi e dall’animo nobile, e “con il senso della comunità come bene supremo”. Una storia che non conoscevo, che ho letto senza voler staccare gli occhi dalle pagine che raccontano dolore e generosità, che narrano di impegno e di ideali, che meglio sanno descrivere l’appartenenza e il vero eroismo. Consigliato.
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Grazie, Teresa, per questa recensione, le tue parole sgorgano spontanee e senza filtri dal cuore, ma acqua fresca e cristallina di montagna