Ottocento. Il Congresso di Vienna e l’Adriatico tra Venezia e Ragusa
- Autore: Cristiano Caracci
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Un romanzo che vale un testo di storia, poco nota a gran parte dei lettori: quella di Venezia, del suo territorio e di quello libero di Ragusa nei Balcani (oggi Dubrovnik), tra l’estinzione della Repubblica del Leone, a opera di Napoleone Bonaparte e la spartizione tra le potenze vincitrici delle conquiste dell’imperatore francese tra il 1796 e il 1813.
Cristiano Caracci, settantacinquenne cassazionista in Udine, per noi è soprattutto l’autore di non poche opere storiche storico-narrative. La più recente è il romanzo
Ottocento. Il Congresso di Vienna e l’Adriatico tra Venezia e Ragusa, pubblicato dall’editore concittadino Gaspari, nella collana di narrativa (ottobre 2022, 134 pagine).
Si sviluppa nel contesto inedito del ventennio cruciale localmente, tra la fine del XVIII secolo e i primi due decenni del XIX, in cui è collocata la vicenda raccontata dall’avvocato udinese e nei territori del Veneto e della decaduta capitale lagunare, del Friuli, dell’Austria e di Ragusa-Dubrovnik affacciata sull’Adriatico orientale.
I lettori hanno per guida un protagonista immaginario, testimone diretto di tutti gli eventi storici narrati, Lorenzo Natali, ultimo figlio di un conte fedelissimo della Serenissima e nostalgico degli Statuti di autonomia "distrutti dalla prepotenza francese".
Venezia e Ragusa erano Repubbliche centenarie, due fiori di libertà recisi dalla sciabola dell’empereur. Millecento anni di storia nobile e orgogliosa della Repubblica di Venezia cancellati nel 1797 dalle armate napoleoniche, ma la restaurazione decisa a Vienna portò gli Asburgo in laguna, nel 1815.
Sempre il condottiero corso rese un ricordo nostalgico quasi mezzo millennio di libertà per il territorio ragugino.
Se lo Statuto di autonomia risaliva al 29 maggio 1272, intervenne il 25 gennaio 1808 il decreto napoleonico di abrogazione della Repubblica, oltre cinquecento anni durante i quali l’autogoverno centro adriatico aveva consolidato una fortuna economica, in equilibrio tra Venezia "padrona", la Turchia imperiale e la Bosnia ottomana. Intratteneva rapporti diplomatici in Europa e Marocco, contatti con i neonati Stati Uniti d’America. Una repubblica d’ancien regime, certo. Anche un crogiolo di idee e civilizzazione: già nel XIII secolo vi si pubblicava il Liber Statutorum, l’elaborazione giuridico-commerciale più sofisticata nell’Adriatico di quei tempi. All’inizio del 1400 Ragusa proibì la schiavitù e il traffico di schiavi, qualche anno dopo per prima al mondo istituì la quarantena e i lazzaretti.
Nel XV secolo, anonimi giuristi ragugini e il Maggior Consiglio adottarono una legge sul fallimento, resa necessaria dalla prosperità dei commerci. Per non dire della politica estera di neutralità ed equilibrio: “magari averne”, osserva Caracci.
Non meritava, perciò, la condanna immotivata all’estinzione.
Nella sua brama di conquista, Napoleone trascurò la funzione di Stato cuscinetto che Ragusa avrebbe svolto ancora in Adriatico e nei Balcani.
L’arciduca Carlo d’Asburgo aveva tentato di fermare l’Armata francese al Tagliamento, il 16 marzo 1797.
"Oggi, dunque, diedi battaglia e mi duole dovere annunciarVi che la ho perduta",
comunicava nel dispaccio in italiano inviato a fine giornata al cugino Francesco II, imperatore e re d’Ungheria e Boemia.
La sconfitta apriva la strada alle armate francesi che avrebbero portato alla fine delle Repubbliche adriatiche.
Anni dopo, nel 1815, l’Europa era cambiata e le potenze vincitrici convocarono il grande Congresso a Vienna per restaurare il continente nei suoi equilibri precedenti.
La piccola Repubblica di Ragusa venne sacrificata sull’altare dell’equilibrio, premiando la prepotenza austriaca, come altrove si operò (per Genova e Lucca) a vantaggio delle intese tra le grandi potenze.
Nessuno si preoccupò di salvaguardare il “principio di autodeterminazione dei popoli”, come il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson sosterrà e otterrà poco più di un secolo avanti, sempre con l’Austria-Ungheria e i Balcani tra i territori interessati.
I sentimenti degli ex sudditi delle Repubbliche estinte sono testimoniati in tutto il romanzo, soprattutto da Natali. Mentre si comincia a parlare di un grande Congresso di restaurazione - ne scrivono le gazzette austriache - sull’Adriatico si continua a vivere nell’indifferenza.
Prevale il distacco dalle cose d’Europa e dalla politica, nonostante l’impegno del governatore austriaco di guadagnare i cittadini alla causa imperial-regia e all’odiata bandiera bianco-rosa. I giornali distribuiti gratuitamente dai soldati di Vienna neppure vengono sfogliati. L’avvenire si fa buio, ma la brava gente ragugina si attarda nella:
noiosa e pigra vita di campagna e nelle ville.
Infatti, il giovane è preoccupato dall’indifferenza dei “vecchi” sudditi della libertà, compreso il padre, al quale pure riconosce un animo combattivo. Lorenzo non riesce in alcun modo a scuoterli, a convincerli che non si può vivere solo di belle lettere e poesia. A metterli sull’avviso che la Restaurazione di cui si sta parlando nel Congresso, possa estendersi alla minuscola Repubblica di Ragusa.
Pochi ragazzi rifiutano di poltrire in campagna e restano in città, a raccogliere informazioni dai compagni dell’università di Padova o che arrivano dal liceo di Spalato e dal porto di Ancona. Si scambiano notizie e le commentano, anche intrattenendosi sulle spiagge, a teorizzare progetti “illimitati”.
Ma le ansie dei giovani ribelli non smuovono nessuno. Ragusa si allontana sempre più dalle idee nuove, tradite da chi in Europa, professandosi moderno, cova guerre e trabocchetti di cancellerie e ministri.
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