Pampaluna
- Autore: Sara Durantini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Chi dipinge l’infanzia come un’età dorata probabilmente non la ricorda bene. Raccontiamo poco i bambini, le loro paure, le loro angosce; forse proprio perché ci dimentichiamo di essere stati bambini a nostra volta. L’infanzia, quella vera, edulcorata dalle etichette che pagine di narrativa sentimentale e favolistica le hanno incollato addosso, è un territorio accidentato nel quale si annidano la maggior parte dei traumi che ci portiamo dietro anche da adulti, incuranti della loro origine.
Per questo è un esperimento narrativo interessante quello affrontato da Sara Durantini in Pampaluna (Dalia Edizioni, 2024), in cui l’autrice sceglie di mettere al centro la voce di una bambina, una “bambina mai stata bambina”, come viene specificato in una parte centrale del libro. Un altro protagonista decisivo di questo romanzo è il “tempo”. Sareste in grado di definire il momento esatto in cui è finita la vostra infanzia? Quando abbiamo smesso davvero di essere “bambini”? Nell’analisi minuziosa di Durantini - che davvero riesce dare voce e, soprattutto, corpo alla bambina che è stata - questa scissione appare evidente eppure transitoria, il passaggio dall’infanzia a quell’indefinita età di mezzo della pre-adolescenza si diluisce nella percezione universale della Storia.
La protagonista cambia, si evolve, in un mondo in continuo mutamento, assistendo in prima persona al passaggio da una società contadina e conservatrice a una società industriale e consumistica. La cascina di Pampaluna, da cui il titolo, rappresenta una chiave di lettura importante della storia: è lì che la piccola protagonista nasce, sulle sponde del fiume Oglio in uno scenario idilliaco di campi di granturco, e cresce tra riti contadini, croste di pane duro inzuppate nel latte, vendemmie e preghiere. Sempre da quel mondo agreste viene strappata progressivamente da una serie di inattese rivelazioni su sé stessa, sulla propria famiglia, sulla società che la circonda. Sara Durantini è molto abile nel mantenere intatta l’innocenza della sua protagonista fino al momento in cui non viene disillusa, rendendo così il lettore partecipe del suo processo di crescita che si nutre di vergogna, esclusione, di una consapevolezza che, in fondo, nasce sempre da un piccolo atto di violenza visibile o invisibile.
Una doppia vergogna peserà infatti sulla bambina: una difficoltà linguistica che a lungo la esclude dalla vita sociale (sarà seguita da un logopedista) e una vergogna sociale indelebile, il divorzio dei genitori. In una pagina determinante del libro entrambi questi fatti verranno sintetizzati con un termine singolare: “menomazioni”, poiché sono fattori che la escludono dalla vita sociale dei suoi coetanei, che rendono una bambina - sebbene così piccola, innocente, senza colpa - soggetta a giudizio quale “la bambina che non sa parlare”, la “bambina figlia di genitori divorziati”.
Quanta sofferenza può esserci nell’infanzia? Sara Durantini è abile da darle voce pur senza crogiolarsi nel patetismo, infatti assistiamo al riscatto della protagonista attraverso i libri, la lettura, le eroine letterarie e dei cartoni animati (su tutte splende nella mischia Lady Oscar), che offrono alla bambina uno strumento di affermazione di sé, una presa di coscienza personale sul mondo che la circonda.
Il racconto non è mai esplicitamente autobiografico, tranne che in alcuni punti, in cui l’autrice sembra rivendicare l’urgenza di narrare la propria storia con una prosa affilata e impersonale che ricorda Annie Ernaux, scrittrice amata da Durantini che è anche autrice della prima biografia italiana a lei dedicata.
Voglio raggiungere la perfezione di un racconto che mi riguarda, così come mi riguarda questo luogo e questa gente che sto tentando di riscattare. Ho bisogno di riappropriarmi della mia storia. Reperti di ciò che sono stata. Sono di nuovo accanto a quell’amica che solo io posso vedere.
L’influenza di Ernaux, come etnografa di sé stessa, si avverte in maniera determinante in questo passo; ma non è l’unico passaggio del libro in cui la voce di Ernaux sembra affiancarsi a quella di Durantini, esplicitando il proprio ruolo di maestra di scrittura. L’intento delle due autrici è lo stesso: far risorgere, attraverso sé stesse, la memoria di un intero mondo e, non da ultimo, di un’intera epoca. Non è soltanto la bambina che è stata ciò che Durantini ci restituisce attraverso le pagine di Pampaluna, ma il ritratto di un’epoca, il passaggio della Storia, il modificarsi di sentimenti, credenze, pensieri facendoci riflettere su un passato, a tutti gli effetti, condiviso. Inoltre, proprio come Annie Ernaux, anche Durantini vive a proprio modo l’esperienza di “transfuga di classe”: una bambina che legge, che scrive, che studia in una famiglia in cui vige la concezione che “con i libri non ci si riempie la pancia.”
La narrazione si snoda tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, integrando pagine importanti di storia italiana che passano tra le righe come titoli del telegiornale o frammenti di notiziari radio, assieme alla colonna sonora di un’epoca - Cosa resterà di questi anni ottanta - che ormai non esiste più se non sottoforma di una sbiadita nostalgia. L’infanzia raccontata da Durantini rivive attraverso oggetti ormai démodé, come una macchina fotografica giocattolo che fa scorrere in sequenza le diapositive, accompagnando la crescita della protagonista con i cartoni animati (“Lady Oscar” ritorna come una costante nelle pagine e avrà un ruolo formativo importante), la sigla epica di Bim Bum Bam, il giornalino Cioè, sino alle magliette “Fiorucci” con gli angioletti intrecciati indossate per demarcare la distanza tra “bambina” e “signorina”. Nomi, ritagli di giornale, libri, notizie e date ci parlano di un mondo ormai scomparso, analogico, fatto di mode momentanee eppure determinanti nel definire il clima di un’epoca e anche il sentire di una singola persona.
Sara Durantini fa scorrere gli anni sui protagonisti della sua storia attraverso i cambiamenti determinati da usi, costumi, abitudini: la madre della bambina cambia taglio di capelli - et voilà - ecco affacciarsi all’orizzonte gli anni Novanta. Nel susseguirsi lento e sempre uguale delle stagioni, caratterizzate dalla nebbia bassa e persistente della pianura Padana, qualcosa cambia e muta in un lento scorrere che richiama l’azione silenziosa eppure corrosiva del tempo, ciò che trasforma una bambina in una ragazza e, infine, in una donna.
Nella storia di una singola bambina si intrecciano anche numerosi destini femminili: un passo importante di Pampaluna è dedicato a come la società contadina percepisse le donne. Donne chiamate tali solo in virtù della loro capacità di procreazione e, di conseguenza, giudicate esclusivamente sulla base di quella capacità, come madri e come mogli: in poche righe viene citata e riassunta la tragica storia di B., rimasta incinta e allontanata da casa per cancellare la “vergogna” dalla sua famiglia.
Alcune voci raccontarono che venne internata nel manicomio di Colorno e del nascituro non si seppe nulla.
Alla storia di B. si uniscono le storie di molte altre donne, raccontate come litanie dalle vecchie sull’uscio delle cascine con la raccomandazione a non imitarle, come se, vittime di violenza, si fossero macchiate di una colpa. O ancora, madri cui vengono legittimamente strappati i figli dal marito: l’uomo come padrone indiscusso della donna e della prole. Intanto al telegiornale passano immagini di giovani donne uccise, quando ancora i femminicidi non avevano questo nome. La parola “patriarcato” viene nominata soltanto una volta in Pampaluna, eppure è ciò che la piccola protagonista sfida e decostruisce con la propria stessa esistenza, con la presa di coscienza che sia possibile una vita diversa in cui le donne possano essere libere, anche dallo sguardo giudicante e vigilante della società.
Questa consapevolezza nasce, ancora una volta dalle storie, non dalle narrazioni orali tramandate da un’Italia contadina schiava del proprio passato, ma delle pagine dei libri che mostrano eroine coraggiose e dai cartoni animati che propongono protagoniste non convenzionali, come la “Lady dal fiocco blu”. Donne padrone della propria vita, donne che non sono più:
“Un corpo senza storia”.
Dopo essere stata la migliore alle lezioni di catechismo, la bambina si affranca dalle preghiere, dai grani del rosario, dalle processioni e dai rituali ormai divenute stanche consuetudini di un mondo che non offre vera consolazione, ma pronuncia condanne inappellabili opponendo un’inutile resistenza al cambiamento.
Il referendum sul divorzio è un altro passaggio determinante nella storia: la piccola protagonista è figlia di genitori divorziati - una delle uniche in un piccolo paesino in provincia di Mantova - e viene additata come se avesse una menomazione. Viene citato, a tal proposito, un altro libro importante sull’argomento, Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone.
“Cos’è la famiglia?” si chiede la protagonista a un certo punto, proprio mentre Papa Giovanni Paolo II istituisce la Giornata mondiale della famiglia, santificandola.
I pensieri puri - eppure, a ben vedere, già adulti, maturati nel dolore - di una bambina ci invitano a uscire dai rigidi schemi delle convenzioni e dei dogmi e a riflettere sulla vera natura dei rapporti umani tra marito e moglie, tra genitori e figli, a rivalutare il concetto stesso di “famiglia tradizionale”. Ingabbiare un’esistenza in un dogma, in uno schema, non è mai la soluzione corretta: forse proprio per questo la bambina, esclusa suo malgrado da una società perbenista e ipocrita che non accetta il “diverso”, sviluppa una vocazione irrevocabile per la libertà.
Sono innumerevoli gli spunti di riflessione offerti da questo piccolo libro, immenso nel suo contenuto. Sullo sfondo di un’Italia che cambia, dando voce a una bambina che cresce e si interroga, Sara Durantini getta una nuova luce sulla nostra percezione della società e sul mondo in cui viviamo.
Pampaluna
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