La salita di Dante al Purgatorio inizia proprio nel giorno di Pasqua e, in generale, il periodo pasquale ha una valenza simbolica forte all’interno della Divina Commedia che è ambientata proprio durante la Settimana santa del 1300, l’anno del Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII.
Anche il tema della Resurrezione viene affrontato ampiamente da Dante nel suo poema, in una doppia visione: personale e religiosa.
Del sacro mistero della Pasqua il Sommo Poeta ci regala una visione commovente (e tutto sommato consolatoria) nel Canto XIV del Paradiso, scopriamo perché.
La Pasqua come metafora del viaggio di Dante
La Pasqua è una metafora fondamentale attraverso cui leggere l’intera opera di Dante: la Divina Commedia rappresenta infatti un tortuoso percorso verso la salvezza, proprio come la Resurrezione di Cristo rappresenta la salvezza di tutta l’umanità e l’attesa rigenerazione.
Nell’anno narrato da Dante la domenica di Pasqua cadeva il 10 aprile e quella data viene a coincidere con la salita del Sommo Poeta al monte del Purgatorio, che sorge proprio agli antipodi della città di Gerusalemme, e l’incontro tanto atteso con Beatrice. Il monte del Purgatorio è costituito da 7 terrazzi sospesi nell’etere celeste, il che rimanda di nuovo a una numerologia precisa: il viaggio di Dante è compiuto proprio in 7 giorni, come 7 sono i peccati capitali poiché il 7 rimanda all’idea della “perfezione umana”. Inoltre il Purgatorio ci viene già anticipato nel primo canto quando viene fatto riferimento al “dilettoso monte”, il colle vestito già dai “raggi del pianeta”, quindi investito dall’alto della luce della grazia divina; infatti in cima al Purgatorio si trova il Paradiso, sede dell’eterna beatitudine.
Il viaggio di Dante riproduce una sorta di via crucis, come se l’eroe fosse chiamato a riprodurre le varie tappe del percorso di Cristo: Passione, Morte e, infine, Resurrezione. Il giorno di Pasqua (è risorto!) viene a coincidere proprio con l’uscita di Dante dall’oscurità dell’Inferno, come se attraverso il suo lungo poema l’autore volesse costruire una sorta di articolata cattedrale di pensiero di matrice cristiana. Dante Alighieri, del resto, era un uomo del suo tempo: figlio del Medioevo, imbevuto di pensiero religioso e dottrina teologica, che scrisse un lungo poema sul destino dell’anima nell’aldilà. Il pensiero della Resurrezione è la matrice stessa della Commedia, soprattutto nel Purgatorio in cui i peccatori attendono di essere “purificati” per raggiungere il Paradiso e accedere alla contemplazione della grazia divina. Ma attenzione, non c’è solo una resurrezione religiosa - che Dante giunge perfino a mettere in dubbio, come vedremo - c’è anche una resurrezione personale e poetica.
La Resurrezione di Beatrice nella Divina Commedia di Dante
Nel Canto XXX del Purgatorio infatti Dante ritrova l’amata Beatrice; alcuni critici, tra cui lo scrittore Jorge Luis Borges, pensano sia stato in realtà questo lo scopo del viaggio dantesco: donare nuova vita alla donna amata. Beatrice appare a Dante avvolta in una nuvola rosata, mentre gli angeli gettano fiori ai suoi piedi e la salutano con le parole rivolte a Cristo al suo ingresso a Gerusalemme: “Benedictus qui venis”.
Tuttavia è vero che il viaggio di Dante non si interrompe nell’incontro con Beatrice, ma va oltre; dunque non quell’incontro, pure tanto atteso e dal Poeta in un certo senso annunciato già in conclusione della Vita Nova, lo scopo finale del peregrinare dantesco.
La Pasqua della Divina Commedia avviene nel Purgatorio, ma il suo mistero si allarga oltre, giunge fino al Paradiso e al finale contemplativo e rivelatorio nelle alte sfere dell’Empireo: l’amor che move il sole e le altre stelle.
Il simbolismo religioso nella Divina Commedia
La numerologia e il simbolismo religioso hanno un ruolo chiave nella narrazione dantesca, come testimoniano anche le 3 guide del poeta (Virgilio, Beatrice e infine San Bernardo) che riproducono idealmente l’immagine della Trinità Divina, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Un altro numero ricorrente, dal forte significato religioso, è il 9: nove sono i cerchi infernali e nove sono le zone del Purgatorio, così come i cieli dell’Etere. Il numero 9 era identificato da Dante già nella Vita Nova, opera precedente alla Commedia, come la massima espressione dell’amore divino: in quanto era il numero tre (la Trinità) moltiplicato per sé stesso, quindi racchiude l’immagine salvifica della Santissima Trinità all’ennesimo grado.
Tutto questo ci aiuta a comprendere meglio il forte simbolismo religioso della Divina Commedia che passa attraverso i numeri e le date, ma non solo.
Abbiamo la prima indicazione del periodo in cui Dante inizia il suo viaggio nel primo Canto dell’Inferno, quando appare la terza fiera, ovvero la lonza (che rappresenta la lussuria):
sol montava ’n sù con quelle stelle/ ch’eran con lui quando l’amor divino/mosse di prima quelle cose belle
Nella descrizione dell’alba Dante ci dice che siamo nella data dell’equinozio di primavera, quando le stelle entrano nella costellazione dell’Ariete e, idealmente, il momento in cui si pensa sia iniziata la Creazione stessa del mondo.
Stando alle ricostruzioni Dante entra nell’Inferno nella notte del giovedì santo, il 7 aprile, data che coincide appunto con l’inizio del periodo pasquale.
La Resurrezione religiosa nella Divina Commedia di Dante
La Resurrezione, il sacro mistero pasquale, ha un ruolo chiave nella Divina Commedia. Nel Purgatorio infatti abbiamo la Resurrezione privata di Dante, ovvero l’incontro con Beatrice, ma è nel Paradiso che per la prima volta si discute della Resurrezione religiosa.
Nel XIV Canto del Paradiso Beatrice conduce il suo pupillo nel cielo del Sole e nel cielo di Marte dove risiedono gli spiriti sapienti e i combattenti per la fede.
Dante osserva sorpreso che chi si lamenta del fatto che sulla Terra si debba morire non ha visto la beatitudine sperimentata dalle anime nella nuova vita in cielo avvolti dalla grazia divina.
Nella mente di Dante quindi sorge un dubbio che subito la sua guida intende. Si domanda se anche dopo il Giudizio Universale, quando il corpo sarà ricongiunto all’anima, rimarrà la luce intensa che ora avvolge ogni anima beata, senza disturbare la vista. In tutta risposta si accresce il coro dei Beati che inneggia alla Trinità divina.
A sciogliere il dubbio di Dante sarà infine Salomone che spiega al pellegrino umano che le anime saranno avvolte dal loro alone luminoso tanto quanto durerà la loro beatitudine. La carità continuerà a esprimersi per sempre attraverso l’irradiazione luminosa e, infine, dopo il Giudizio Universale, quando le anime saranno ricongiunte ai corpi, sarà ancora più splendente nell’amore di Cristo. Il corpo allora resterà vivo e visibile nella luce, proprio come il carbone ardente (una similitudine probabilmente mutuata da San Bonaventura) rimane visibile nella fiamma che lo avvolge.
Alla conclusione del discorso di Salomone, pronunciato con voce soave, il coro dei beati risponde “Amen” manifestando la ferma volontà di ricongiungersi al proprio corpo e poter così ritrovare le persone a loro care, rivedere “le madri e i padri”.
Questa è la parte più commovente del Canto XIV del Paradiso: i beati desiderano riavere indietro il loro corpo morto (e ben mostrar disio d’i corpi morti) non tanto per sé stessi o per la propria apparenza di un tempo, ma per poter incontrare e riconoscere le persone che avevano amato in vita:
forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.
La luce a questo punto diventa tanto forte che Dante non è più in grado di sostenerne la vista.
Il mistero della Resurrezione spiegato da Dante
Dante spiega il mistero della Resurrezione nelle seguenti terzine contenute nel Canto XIV del Paradiso pronunciate da Salomone:
Come la carne gloriosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta;
Non appena (noi, la nostra persona) ci saremo rivestiti della nostra carne gloriosa e santa, la nostra persona sarà più gradita a Dio perché nuovamente integra.
per che s’accrescerà ciò che ne dona
di gratuito lume il sommo bene,
lume ch’a lui veder ne condiziona.
Perciò sarà maggiore il dono di grazia divina elargito da Dio,
poiché questo dono ci permette di contemplarlo.
I beati, infine, nella concezione di Dante potranno riacquistare il loro aspetto terreno e vedersi reciprocamente, finalmente riconoscersi, non essere solamente fiamme di luce divina. A questo punto il Sommo Poeta, seguendo Beatrice, passa al cielo successivo, infiammato dalla stella rossa di Marte, dove gli appaiono delle anime luminose disposte in uno schema che ricorda una croce greca: al centro di quella croce gli pare di distinguere il volto di Cristo, ma non è in grado di definirlo né di descriverlo. Le voci dei beati allora intonano un’altra melodia di cui Dante riesce solamente a distinguere nitide le parole “Resurgi!” e “Vinci!”.
Per narrare il mistero della Resurrezione, infine, Dante Alighieri decide di adottare la poetica dell’inesprimibile: non intende e non ode. Non riesce a distinguere chiaramente il volto di Dio al centro della croce e neppure le parole del canto dei beati, eppure tutto intorno a lui si annuncia come una promessa di resurrezione. Da quel canto, dice Dante, traeva amore.
Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.
Sopra ogni cosa, nel finale, risplende la bellezza degli occhi di Beatrice - più perfetti e splendenti nell’alto dei cieli - che Dante si scusa di anteporre allo splendore della luce divina.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Pasqua narrata nella Divina Commedia di Dante: la Resurrezione
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