Per il tuo bene
- Autore: Marco Bonacossa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Le storie narrate da Marco Bonacossa in Per il tuo bene (Scatole Parlanti, 2023) sono fatti realmente accaduti. Villa Azzurra è uscita fuori per caso da una delle sue ricerche storiche, e ha continuato a cercare e a scavare nelle documentazioni del passato, portando alla luce pagine di inaudita follia su come venivano curati e trattati i malati di mente prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia.
Lager gestisti dalle istituzioni, con la compiacenza di professionisti medici che il più delle volte speculavano sui contributi statali, e soprattutto chiudevano al mondo le tragedie e la sofferenza di bambini e poveri disperati.
Marco Bonacossa, nato a Pavia, è laureato prima in Filosofia e poi in Storia moderna e contemporanea. Ha pubblicato nel 2016 Sicherheits. I disperati del fascismo, saggio sulla polizia speciale fascista nell’Oltrepò Pavese dopo il 1943.
Ha collaborato con “BBC History Italia” e ha presentato molte conferenze con il patrocinio dell’Università di Pavia sul tema delle mafie e della storia repubblicana con esponenti di primo piano di politica, magistratura, società civile e cultura italiana.
Luca ed Elena, personaggi di pura invenzione, con i loro lavori di giornalista e assistente sociale faranno da corollario a una delle vicende più drammatiche e reali del nostro Paese. Raccoglieranno un dossier sulle storie che trapelavano alla fine degli anni sessanta su Villa Azzurra, il più grande ospedale psichiatrico per minori e adulti di Torino, che divenne in seguito un fatto di cronaca giudiziale.
Nell’Italia delle prime stragi dei terroristi neri, dei depistaggi, dei movimenti di protesta, “in un Paese nel quale il fascismo non era mai morto”, circolavano fatti terribili che avvenivano nel manicomio, un edificio signorile che un tempo era stato luogo di torture e quartier generale di fascisti che collaboravano con i tedeschi.
Molte furono le testimonianze e le esperienze raccolte da chi aveva vissuto l’ambiente dell’ospedale, come infermiere o come paziente.
Elena, in una Torino diventata in pochi anni meta per tanti meridionali che scappavano dalla miseria postguerra, costretti a vivere in vecchie soffitte o cantine perché “non si affittava ai meridionali”, si impegnava giorno e notte a elaborare con Luca una documentazione di denuncia da inviare ai giornali e al tribunale:
Il modo migliore per far conoscere la realtà di Villa Azzurra.
Anche a costo della loro vita, quelle verità agghiaccianti dovevano oltrepassare le mura dell’istituto. Fabrizio, uno dei pazienti, catturato dagli uomini in camicia nera, torturato, venne consegnato alle SS e deportato in un lager in Baviera di soli uomini. Il numero “23721” marchiato sulla sua pelle gli ricordava dov’era ogni qualvolta apriva gli occhi; il lavoro nella cava di pietra, le giornate in silenzio e le cimici che di notte infestavano le assi di legno.
Nel luglio del 1974 era presente al processo nel Palazzo di Giustizia contro il medico carceriere e gli altri aguzzini del manicomio. L’imputazione era per aver maltrattato “con più azioni esecutive di un disegno criminoso”, numerosi pazienti praticando loro l’elettroshock.
L’elettroshock era per il dottore Giorgio Coda, l’elettricista, un evento rivoluzionario per la medicina, con il quale si sarebbero potuti guarire gli schizofrenici, alcolisti, tossicomani, omosessuali e visionari.
La storia di Giovanni convinto di essere un figlio della merda che serviva a concimare il terreno per farvi crescere il grano, era di un bambino trasferito dall’orfanotrofio al manicomio.
Non appena arrivato mi sembrava di essere tornato in orfanotrofio, i corridoi lunghi, i soffitti alti, i vetri fino al soffitto, le camerate lunghe e strette con tanti letti. Mi dicevano che sarei stato lì per poco, io non ci credevo perché lo avevo capito che sarei rimasto lì per sempre.
Maria, la bella e giovane ragazza sedotta da Don Alberto, mandato successivamente in Biafra; per tutti era una giovane felice perché non capiva niente. Era entrata in manicomio chiedendo di Don Alberto, il suo amore e di dove fosse, una mattina di settembre e le fecero indossare un maglioncino verde, “eredità di una paziente morta da pochi giorni”.
E la storia di Faustino, tifoso di Gigi Riva; le scariche elettriche lo avevano reso da bambino gioioso a irrequieto e nervoso. E di Ranieri Russo, un tempo brillante studente universitario, attenzionato dalla polizia fascista per attività cospirativa e dopo alcuni mesi di carcere nel 1940 trasferito in clinica: un paziente che da circa trent’anni “soffriva di propositi di rinnovamento sociale”.
E non va dimenticata l’immagine disumana di quella bambina di poco più di sette anni completamente nuda e legata alle sbarre del letto per i polsi e le caviglie. Donne, bambini, uomini, ragazzi, persone sole, emarginate, abbandonate dalle famiglie e dal mondo, reclusi a vita con la complicità della società civile.
Nel 1978 in più della metà delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico.
È una malattia la nostra talmente brutta da meritarci l’oblio?
I trattamenti che subivano erano quanto di più crudele poteva infliggere un medico ad un malato. La verità era che fossero solo atti punitivi per chi non prendeva le medicine, per chi si ribellava, per chi rideva.
È possibile che non facciano effetto le urla di dolore, le grida di paura, i tremori, la merda che esce dal culo e il sangue che si sparge sul letto. Come può un uomo rimanere indifferente al male che provoca?
Qualcuno la mattina dopo non si risvegliava più per le botte o per le troppe scariche, un orrore giustificato dalle parole “per il tuo bene”.
Per il tuo bene di Marco Bonacossa raccoglie pagine drammatiche della nostra storia, non solo civile ma anche del complesso sistema salute-sanità, diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. È una struggente narrazione tra il romanzo e il saggio, nel quale l’autore rivendica la dimensione individuale e la dignità dei malati.
Un Paese che voglia veramente dirsi “civile” deve essere in grado di mettere tutti i propri cittadini, in particolare quelli più fragili, nella condizione di vivere con dignità la propria malattia.
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