Peste e Lanzi a Mantova (1629-1630). Documenti
- Autore: Rodolfo Signorini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Ricordate Alessandro Manzoni? “La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia”. Il capitolo XXXI dei Promessi sposi descrive insieme al successivo l’epidemia di peste che afflisse Milano nel 1630.
Cosa ci facevano i Lanzichenecchi in Lombardia? Combattevano da mercenari la guerra di successione di Mantova e del Monferrato e avevano portato nella pianura padana il morbo che covava nei territori tedeschi d’origine. Tutto spiegato agilmente — e si dovrebbe dire finalmente — in un pamphlet quantomai interessante, dato alle stampe nella primavera dell’anno scorso dall’umanista Rodolfo Signorini, per Sometti, casa editrice du pays. Si intitola Peste e Lanzi a Mantova (1629-1630). Documenti.
Il volumetto apre la serie Mantua infelix, in cui l’autore intende approfondire momenti infausti della storia della sua città, dopo avere completato i dieci Mantua felix, opuscoli ispirati dai tempi di buona fortuna.
L’assedio e la pestilenza del 1629-30 sono stati certamente tra le sciagure che hanno più colpito il Mantovano, “per la scelleratezza della brutalità umana, ignota agli animali più feroci”, per la ferocia “bestiale”, per il “fiume d’odio tra entrambe le parti”. Se pagine di infelicità sono frequenti nei libri di storia locale, nessuna è paragonabile alle vicende del XVII secolo.
Un chiarimento sui Lanzichenecchi è indispensabile. Sono stati una specialità di fanteria costituita per fronteggiare i formidabili quadrati di picchieri svizzeri. La superiorità della cavalleria pesante dei nobili su avversari appiedati e disorganizzati era cessata con l’affermarsi delle armi da sparo e di nuove formazioni da battaglia disciplinate e resistenti. Le avevano proposte i fanti svizzeri, che opponevano a cavalli e cavalieri bardati una compatta siepe di lunghe picche, lance e alabarde. Per contrastare i costosi mercenari svizzeri con altrettanta efficacia, nel 1487 l’imperatore Massimiliano I ordinò l’arruolamento tra gli strati più bassi della popolazione tedesca di formazioni di Landsknecht (“servi della terra”, da land, terra e knecht, servo).
Portarono terrore e rovina in Italia, armati anche di una grossa spada a due mani e vestiti con abiti sgargianti, caratterizzati da piume variopinte e lunghe barbe. In gran parte di fede luterana, non si fermavano davanti alla più brutale violazione di luoghi sacri. Celebre il sacco di Roma del 1527, in cui i mercenari del pio imperatore cattolico Carlo V saccheggiarono per giorni la città eterna, profanando chiese, uccidendo prelati e depredando.
Ufficiali e sottufficiali tra i Lanzichenecchi erano arruolati nei lander della Germania tra i figli cadetti di famiglie di contadini con piccole proprietà, che preferivano andare a servire in armi un signore piuttosto che sottostare al fratello primogenito, unico erede di tutti i beni paterni, secondo l’antica norma della successione a maso chiuso.
Al soldo dell’imperatore asburgico, alleato della Spagna contro la Francia nel conflitto per la successione a Vincenzo Gonzaga nel Ducato di Mantova e del Monferrato, i Lanzi entrarono nel territorio lombardo nell’ottobre 1629, dai Grigioni e dalla Valtellina, seminando il terrore con i furti e le violenze che accompagnavano la loro calata. Transitando dal Milanese, invasero il Mantovano, ponendo l’assedio alle fortificazioni della città ducale. L’autore propende per le fonti storiche che attribuiscono la diffusione della pestilenza all’ingresso in Mantova di persone venute in contatto con le soldatesche all’esterno. Questo scagionerebbe gli ebrei, accusati d’essere gli untori, per avere commerciato panni e oggetti contaminati prelevati dagli accampamenti tedeschi.
Fatto sta che i medici si ostinavano a sostenere che la strage era dovuta a febbri petecchiali maligne non infettive, incapaci di diffondere il contagio. Un abbaglio dalle conseguenze drammatiche e tante analogie con la pandemia di Covid del 2020. Reticenze dovute alla malintesa preoccupazione di non scatenare il panico in una popolazione già provata dalla guerra e disattenta, convinta che la pestilenza fosse conseguenza della carestia dell’anno precedente.
In brevi pagine impietose, Signorini descrive il terrore nelle campagne, la morìa, la quarantena, il panico e l’orrore, gli umori, l’odore della morte. Sono i titoli dei paragrafi in cui si articola il breve ma intenso saggio storico, che oltre ai fatti e alle atmosfere, propone documenti e “gride”, mappe e ritratti, riproduzioni di incisioni e quadri, citazioni e rimandi letterari, biografie dei protagonisti e qualche rilevante vicenda familiare. Incisiva la citazione iniziale di Erasmo da Rotterdam: la guerra piace solo a chi non l’ha provata, chi ne ha esperienza la teme, dall’adagiato latino “Dulce bellum inexpertis, expertus metuit”.
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