Poesia come grammatica dell’essere nell’opera di Enrico D’Angelo
- Autore: Alfredo Luzi
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Alfredo Luzi è stato ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Macerata. Visiting professor in altre università, soprattutto come associato di letterature comparate.
In questo volume, Poesia come grammatica dell’essere (The Writer, 2022), indaga sui componimenti poetici di Enrico D’Angelo, poeta appartato e schivo, calabrese di origine, ma che si formò culturalmente nella città Napoli, vive a Venezia. Di lui hanno scritto i maggiori critici letterari, anche per aver ideato "Smerilliana", periodico semestrale di poesia sia italiana che internazionale. Per di più è socio corrispondente dell’accademia Cosentina, una tra le prime fondate nel Regno di Napoli (1511).
Dal desiderio di svelare questo poeta che vive perlopiù appartato è nato Poesia come grammatica dell’essere nell’opera di Enrico D’Angelo.
Luzi mette in evidenza la poesia edita o inedita di un poeta come D’Angelo alla prima silloge pubblicata dal titolo Le giornate (1984). Egli scrive:
Forse penserò la poesia, nonostante la tradizione e il tempo, eternamente inedita; a me, poeta edito, non altro la vita ha donato che ricordarlo. Le giornate, la silloge, ha come cardine il tempo andato e forse “ritrovato” come rimpianto della giovinezza.
Viene citata a questo proposito la poesia:
Foglie smarrite / non durano / nei mattini degli aquiloni, / strade / volate dai fanciulli [...]
e in una rincorsa / forse / è il desiderio / di una foglia / a ritornare albero. O che quello che ci capita nella vita nemmeno lo aspettavamo, perché “la vita avviene / e non sa”.
E poi l’attenzione formale di D’Angelo che scrive delle antinomie:
Nel silenzio / svegliato dal silenzio, nel rumore / zittito dal rumore / negli occhi / senza fine di un cieco / l’aria si scorda di noi. / E continua a respirare.
Scrive Alfredo Luzi:
Il poeta cerca di far vivere nei suoi versi anche il linguaggio della negazione che secondo i filosofi di “Francoforte”, è garanzia di autenticità contro il potere dei fatti sul mondo.
La poesia è l’unica scrittura che può essere autentica, mentre la narrativa, di per sé, anche prima di sapere la trama, lo stile, quello che succede ai personaggi è Finzione, anche laddove fosse una autobiografia.
Nella seconda silloge Night, ristampata nel 2013 da Di Felice edizioni, D’Angelo scrive un canzoniere d’amore. La sconosciuta straniera, incontrata in un night, può donare più consolazione della letteratura. Tanto sono tutte poesie riattualizzate dalla prima pubblicazione, sia Night, che Quasi un serra e poi i Versi esicasti, come fosse una trilogia da riportare in superficie, per nuovi lettori.
Prima di rivolgerci alla poesia dal titolo La straniera, tratta dalla silloge Quasi una serra, il poeta vuole prendere contezza di un fatto, sull’ineluttabilità della morte:
[...] Sapere di morire / non è / che un pensiero? [...] sapere di vivere / non è / che un pensiero.
Dopo questo riflessione che avrebbe trovato d’accordo Cesare Pavese, ecco la poesia annunciata:
Mi chiedi forse semplici parole / per scriverti poesie, e io ti sorrido / perché per riuscirci dovrei dapprima / imparare a scriver senza dolore; / ma questo (che tu non sappia, mi fido) / è solo del cielo, rima o non rima.
La parola è limitata per poter poter comunicare in modo intimo, viscerale e quindi deve prendere dalla forza vitale dell’eros, come ben sapeva Baudelaire. Poetare avendo come immagine la donna che è genitrice di vita e quindi anche di parole vecchie e nuove contro la precarietà della vita.
Precarietà di cui fummo testimoni nel 2009 col violentissimo terremoto che praticamente distrusse la parte maggiore del capoluogo L’Aquila.
Come racconta il poeta ne Il fiore della serpe: all’epoca non aveva radio né televisione, sente la scossa a Grottammare, dove viveva in quel periodo. Avendo sentito la forte scossa, ma senza avere altre notizie, D’Angelo chiede la collaborazione di un fotoreporter, dopo i terribili primi giorni. Escono così ventisette fotografie per restituire senza ambiguità tutto l’orrore del reale, della terra che si è mossa, unite alle poesie di Enrico D’Angelo che danno alle immagini un valore simbolico.
Una struggente poesia è dedicata al punto dove fu più forte il terremoto, a Onna:
Non un gioco di parole (qui no!) / rimanti fra loro / per sciacallaggio: / Onna la madonna una donna.../ sono tre faglie di un a pena linguaggio.
Ma nel gennaio del 2013 escono grazie alla casa editrice Di Felice edizioni Versi esicasti.
Enrico D’Angelo prende spunto dalla dottrina scolastica di Giovanni Climaco, eremita sul Monte Sinai nel VII secolo. Il linguaggio di devozione si unisce al linguaggio provenzale. Libro di grande rigore morale dopo i fatti dell’Aquila, mentre le prime sillogi conservano ancora un’innocenza inaspettata.
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