La felicità non è solo uno stato d’animo, è anche una postura dell’anima. Ce lo insegna Paul Verlaine, il poeta maledetto dell’Ottocento francese, nella poesia Poiché l’alba si accende (titolo originale Puisque l’aube grandit, Ndr) tratta dalla celebre raccolta La Bonne Chanson (1870).
La poesia contiene una serie di immagini suggestive dal forte impatto emotivo. Verlaine riesce a dare una forma al sentimento astratto e sfuggente della felicità, traducendola in visioni precise “poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora”, è il folgorante incipit che già introduce un’area semantica precisa utilizzata nella poesia, quella della “luce”. Nel finale Paul Verlaine ci parla di un “Essere di luce” (meraviglioso nell’originale: Être de lumière) che nella sua vita ha portato il “chiarore” e infine sublima il tutto nell’intuizione fulminea di un presunto “paradiso”, ovvero il regno per eccellenza della luce.
Sono rare le poesie che ci parlano di “speranza”, poiché più frequentemente viene narrato il suo rovescio: il dramma, il dolore, l’angoscia umana dinnanzi alla morte e al presagio del nulla. Invece il poeta francese in questi versi riesce a immortalare l’intangibile, ciò che per definizione è astratto, come uno stato di grazia che ci ricorda per cosa valga la pena vivere.
Vediamo in quali termini Paul Verlaine, il più illustre appartenente della schiera dei cosiddetti “poètes maudits”, la generazione ribelle della poesia francese, ci descrive la felicità.
“Poiché l’alba si accende” di Paul Verlaine: testo
Poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l’imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! soprattutto
basta con l’ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz’anima trionfava.E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s’incontrano;
basta con l’abominevole rancore! basta
con l’oblìo ricercato in esecrate bevande!Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
“Poiché l’alba si accende” di Paul Verlaine: testo originale francese
Puisque l’aube grandit, puisque voici l’aurore,
Puisque, après m’avoir fui longtemps, l’espoir veut bien
Revoler devers moi qui l’appelle et l’implore,
Puisque tout ce bonheur veut bien être le mien,C’en est fait à présent des funestes pensées,
C’en est fait des mauvais rêves, ah ! c’en est fait
Surtout de l’ironie et des lèvres pincées
Et des mots où l’esprit sans l’âme triomphait.Arrière aussi les poings crispés et la colère
À propos des méchants et des sots rencontrés;
Arrière la rancune abominable! arrière
L’oubli qu’on cherche en des breuvages exécrés!Car je veux, maintenant qu’un Être de lumière
A dans ma nuit profonde émis cette clarté
D’une amour à la fois immortelle et première,
De par la grâce, le sourire et la bonté,Je veux, guidé par vous, beaux yeux aux flammes douces,
Par toi conduit, ô main où tremblera ma main,
Marcher droit, que ce soit par des sentiers de mousses
Ou que rocs et cailloux encombrent le chemin;Oui, je veux marcher droit et calme dans la Vie,
Vers le but où le sort dirigera mes pas,
Sans violence, sans remords et sans envie:
Ce sera le devoir heureux aux gais combats.Et comme, pour bercer les lenteurs de la route,
Je chanterai des airs ingénus, je me dis
Qu’elle m’écoutera sans déplaisir sans doute;
Et vraiment je ne veux pas d’autre Paradis.
“Poiché l’alba si accende” di Paul Verlaine: analisi e commento
Verlaine ci dimostra, in questi versi, che la felicità è una scelta, una precisa postura della volontà. Je veux, ripete, “io voglio”, sino ad arrivare alla volontà più ferma e limpida: “io voglio camminare dritto e calmo nella vita”. Non è in fondo, quello ritratto da Paul Verlaine, il desiderio di tutti? Non vorremmo tutti avere sempre quella postura, quella imperturbabilità che non può in alcun modo essere infranta?
La poesia procede per affermazioni e negazioni, poiché la ferma volontà del poeta nega tutto ciò che può nuocere al suo desiderio di felicità: dunque niente violenza, né rimorsi, né invidia, nessun rancore. Il poeta giunge a deplorare persino le “esecrate bevande” che lo hanno precedentemente condotto alla perdizione, al vizio, all’abuso.
Ricordiamo, a questo proposito, che la bevanda per eccellenza dei “poètes maudits” era l’assenzio, chiamato anche la “Fata Verde”, un liquore amaro e molto forte divenuto nel tempo simbolo della vita bohémienne. La bevanda fu immortalata in un famoso quadro di Degas del 1875, intitolato proprio L’assenzio (L’absinthe, custodito al Musée d’Orsay), nel quale il pittore raffigurava una giovane donna seduta al tavolino di un locale con lo sguardo fisso nel vuoto. Tutto nella protagonista del quadro di Degas suggerisce tristezza, abbandono, depressione e, proprio, di fronte a lei vediamo un bicchiere colmo di una bevanda di colore giallo, di cui il titolo del quadro ci suggerisce il contenuto. Il dipinto di Degas è considerato il simbolo dello zeitgeist della Parigi dell’epoca.
Erano infatti abituali consumatori di assenzio, Charles Baudelaire, Arthur Rimbaud, Gustave Flaubert, Émile Zola e lo stesso Verlaine che in quella bevanda oscura affermavano di trovare la scintilla della propria ispirazione.
Ecco che sorprendentemente in questa poesia Verlaine giunge a negare persino il più sublime dei vizi, l’origine della propria ispirazione poetica: ci indica dunque che la felicità non la si può trovare nella perdizione né tantomeno nell’eccesso. Il suo non è un inno all’ebbrezza, ma all’equilibrio, alla calma, alla moderazione, all’armonia. Verlaine in Poiché l’alba si accende insegna che la felicità può essere trovata e conquistata proprio grazie all’equilibrio. Ma ben presto il lettore comprende che la serenità dell’anima raggiunta dal poeta non è casuale, ma dovuta a una ragione precisa che ha molto poco a che fare con l’equilibrio e la stabilità: l’amore.
Il desiderio di Verlaine di essere felice, speranzoso, di migliorare la propria vita è dato da un “amore immortale”. Questo nuovo sentimento lo conduce a cambiare, a dire basta all’alcol e alle cattive abitudini, a diventare un uomo nuovo, sereno.
La conclusione è commovente perché capiamo che in fondo tutto ciò che il poeta chiede è “di essere amato”, e questa visione dell’amore si traduce nella richiesta molto semplice, a tratti ingenua e proprio per questo struggente, di “essere ascoltato” dalla donna che ama.
Scrive che lei di certo lo ascolterà senza fastidio, anche quando lui canterà arie ingenue:
Qu’elle m’écoutera sans déplaisir sans doute
Questa, conclude Paul Verlaine, è la sua idea di Paradiso. La poesia quindi si conclude con un’altra immagine luminosa: il Paradiso, l’alto dei cieli, il Regno per eccellenza della luce. Ma il Paradiso che propone il poeta francese in Poiché l’alba si accende è un paradiso in terra, un Eden non divino ma umano, e ci dimostra che noi esseri umani quel paradiso possiamo raggiungerlo se lo desideriamo. In fondo basta poco, suggerisce Paul Verlaine, è sufficiente essere amati da chi si ama.
Ed è bellissimo e commovente che il poeta traduca questa somma felicità nel gesto, tutto umano, dell’ascolto: “lei mi ascolterà senza fastidio”, in questa comunione di anime è racchiusa tutta l’essenza del vivere; tutti noi viviamo, dopotutto, per essere ascoltati, per essere capiti.
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
La poesia di Verlaine ha un ritmo tutto suo che riesce a toccare le corde più segrete dell’anima, proprio per questo ben si presta alla trasposizione musicale e all’opera lirica. Poiché l’alba si accende è stata musicata da Gabriel Faurè che ha colto il potenziale lirico contenuto nella raccolta La Bonne Chanson che, del resto, recava un riferimento musicale sin dal titolo: la “buona canzone”.
Fauré tra il 1892 e il 1894 musicò nove poesie di Verlaine componendo un ciclo di melodie per voce e pianoforte dal titolo “La Bonne Chanson. Op. 61”. Una curiosità: l’opera fu la creata da Fauré grazie all’aiuto della soprano Emma Bardac, di cui il musicista era innamorato. Lui componeva la musica e lei subito cantava il materiale appena composto, aiutandolo con gli arrangiamenti. Poteva essere il principio di una bella storia d’amore, ma lei gli preferì Claude Debussy. Concluso il lavoro sull’opera, Gabriel Fauré avrebbe dedicato la sua Bonne Chanson musicale proprio a Emma Bardac.
Attraverso la musica di Fauré viene declinata in maniera letterale la richiesta di Verlaine: “prestare ascolto”, sentire la felicità nel momento stesso in cui la si prova. Nell’accordo tra Gabriel e Emma, come in quello tra Verlaine e l’amata, si era riprodotto per un istante il “paradiso” in terra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Poiché l’alba si accende” di Paul Verlaine: una poesia sulla felicità
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