Preti in battaglia. Ortigara, Macedonia e fronte dell’Isonzo fino a Caporetto 1917
- Autore: Paolo Gaspari
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
“Carissima mamma di Cosimo e Damiano, lascia che ti abbracci, prima di darti la notizia che trafiggerà il tuo cuore”: le parole di don Luigi Todeschini commuoveranno i lettori del libro che si apre con la lettera struggente del cappellano del 77° Fanteria alla madre di due caduti lo stesso giorno (due fratelli!), alla conquista del Monte Sabotino davanti a Gorizia, il 6 agosto 1916. Poco più maturo d’età, il sacerdote era con loro, fuori dalle trincee, esposto al fuoco nemico. Sono i religiosi in prima linea — e in azione affianco ai soldati che assistevano spiritualmente — la novità del quarto volume della straordinaria ricerca sui Preti in battaglia, realizzata con la massima cura da Paolo Gaspari. È apparsa a settembre 2021, col sottotitolo “Ortigara, Macedonia e fronte dell’Isonzo fino a Caporetto 1917”, in uno degli album di grande formato (21x26 cm, centinaia di immagini e cartine, 304 pagine) della collana “La storia raccontata e illustrata”. Testi eccellenti, immagini rare e grafica di pregio: la casa editrice è l’udinese Gaspari, rappresentata dal simbolo del levriero, su suggerimento di Giulio Einaudi alla fine degli anni Novanta.
Trevigiano, autore di decine di testi di storia militare, l’editore-ricercatore è impegnato da cinque anni a ricostruire la storia degli ordinati cristiani in guerra con la croce sul petto dell’uniforme. Anche loro ragazzi sui vent’anni — fa notare nella prefazione l’ordinario militare in Italia mons. Santo Marcianò — necessariamente giovani come i soldati di cui condividevano i pericoli e gli stenti della trincea, perché non si poteva essere che sani, saldi e vitali per affrontare quella prova. La guerra la dichiarano i “grandi”, ma la fanno sempre i “piccoli”.
Gaspari ha cominciato nel 2017 col primo libro, Preti in battaglia. Tra apostolato e amor di Patria. Cappellani decorati 1915-1916. Il secondo è apparso un anno dopo, stesso titolo, ma volume II e anno 1917. Nel 2019 è uscito il terzo, Preti in battaglia. Fronte alpino, fronte dell’Isonzo, cappellani di Marina e caduti 1916-1917.
Don Todeschini scrive alla madre dei due fanti dopo avere seguito l’azione passo passo e raccolto le ultime parole di Cosimo, dedicate proprio alla sua mamma. Di Damiano, non può che limitarsi a consolarla accennando allo sguardo rivolto dal morente al crocifisso, “con espressione di amore immenso”.
Conclude la lettera — che “non avrebbe mai voluto scrivere” — assicurando di avere composto e sepolto i due giovani, “mentre ancora fischiavano le pallottole”.
In precedenza, don Luigi era stato sul campo di battaglia solo per raccogliere morti e feriti una volta cessato il fuoco, ma nel 1917 esce all’attacco dietro i suoi ragazzi, per dare subito soccorso ai colpiti e l’estrema unzione a moribondi e morti. Meritò tre medaglie d’argento e una di bronzo.
In effetti, fino all’anno precedente solo qualche cappellano si era distinto in linea e in azione. Casi sporadici. Tutti restavano nelle località di riposo a chilometri dal fronte o al più nei posti arretrati di medicazione o di comando di battaglione. Ora, non solo sono in trincea, ma i più coraggiosi escono con le prime ondate, soprattutto sul Carso.
In prima linea, oltre a celebrare messa — anche due volte al giorno — si soffermano a colloquio con i soldati, distribuiscono santini e semplici oggetti devozionali, qualche volta anche pacchi dono arrivati dai comitati di sostegno. Provvedono a scrivere le lettere a casa per gli analfabeti e ad organizzare le Case del soldato, per evitare che il tempo libero si consumasse per la truppa solo tra sesso e alcol.
1330 religiosi chiesero d’essere assegnati ai reparti combattenti, in massima parte o agli ospedaletti da campo, non lontani dalle linee. Altri 718 vennero dislocati negli ospedali territoriali. Le motivazioni che li animavano? Nobili: andare a confortare dove più serviva i giovani gettati in quel tremendo crogiolo e per qualcuno, di estrazione modesta, sarà stato di sollievo lo stipendio da ufficiali riconosciuto ai cappellani di linea, col corrispettivo di 2400-3600 lire al mese, contro i 50 centesimi al giorno concessi alla truppa.
Tra i cappellani della Grande Guerra si contano 3 medaglie d’oro, 137 d’argento, 299 di bronzo, 94 croci al merito. Molti ebbero due, tre, anche quattro decorazioni. Ne caddero 93, 62 vennero feriti gravemente e 143 condivisero anche la prigionia, prodigandosi nella difficile realtà concentrazionaria (100mila prigionieri di guerra italiani morti per ferite, fame e malattie).
In altra sede è stata affrontata la questione etica: guerra e religione, la condanna morale del conflitto che spinge a mietere vite umane nemiche, la partecipazione dei sacerdoti alle operazioni belliche. Disarmati, ovviamente, ma non passivi. Il riferimento è ancora una volta a Todeschini (come lui don Mazzoni e Carletti, medaglie d’oro). A fine agosto 1917, a Flondar, sul fronte dell’Hermada, eseguì al meglio l’ordine del colonnello comandante dei bersaglieri di guidare in posizione i rinforzi, rimasti del tutto privi di ufficiali per le perdite enormi. Don Luigi si adoperò per evitare lo sbandamento dei reparti, li condusse sul luogo del combattimento, li animò a reggere nonostante il tiro di tante mitragliatrici austriache, fino alla conquista dell’obiettivo, la galleria di quota 40. Poi perduta, giorni dopo, nella controffensiva che sorprese le nostre linee non consolidate.
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