Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie
- Autore: Allen Frances
- Genere: Scienza
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2013
Trovate le cifre della deriva psicopatologica di massa a pagina 11 di “Primo, non curare chi è normale” (Allen Frances, Bollati Boringhieri, 2013):
“Ci stiamo trasformando in una società di ingurgita-pillole. Un adulto americano su cinque usa almeno un medicinale per problemi psichiatrici; l’11 per cento di tutti gli adulti ha preso un antidepressivo nel 2010 (…); quasi il 4 per cento dei bambini americani fa uso di stimolanti (…), mentre il 4 per cento degli adolescenti prende antidepressivi (…); al 25 per cento dei residenti in case di cura vengono somministrati antipsicotici”.
Potremmo continuare di questo passo non fosse che il quadro si presenta già come eloquente: le malattie mentali hanno rotto gli argini e le medicine sono l’ultimo avamposto per fronteggiare le truppe da sbarco dei disturbi dell’umore, alimentari, bipolari, autistici, di iperattività e via a discendere. Secondo le sentenze inappellabili del DSM (Diagnostic and Statistical Manual), dov’è racchiuso il credo della psichiatria contemporanea (la sua quinta versione è uscita quest’anno) sarebbero 400 i disturbi psichici enciclopedizzati con zelo tassonomico e le new entry rilevano il patologico finanche nella depressione post-lutto e nell’astinenza da caffè! Stando a quanto scrive il dottor Marc Frances, si tratta di un surplus diagnostico che attenta allo statuto di “normalità” delle persone, una corsa alla diagnosi falso-positiva che conviene solo alle case farmaceutiche, pregustanti introiti a moltissimi zeri.
Ora, se Allen Frances fosse un dottorucolo qualsiasi, un fanatico fautore di crociate anti-psichiatriche, qualcuno potrebbe pensare alla malafede, al catastrofismo dietrologico; la cosa che inquieta maggiormente, scorrendo questo suo fitto excursus sulla medicalizzazione della normalità (“contro l’invenzione delle malattie”, recita il sottotitolo del libro) è che il j’accuse è, invece, frutto di competenze acquisite "sul campo", senza contare che la scorsa edizione del DSM ha visto la luce sotto la sua supervisione. Anche se la tesi è tra le più inquietanti che possano formularsi, c’è dunque da credergli: il nuovissimo trend psichiatrico ci inquadra tutti come dei malati potenziali, condannati a mandar giù pillole come caramelle, per il bene nostro, s’intende. Il dolore per la perdita di un familiare, il fisiologico invecchiamento, la normale vivacità dei bambini sono per il nuovo DSM sintomi di "qualcosa che non va come dovrebbe", dimenticando il “pluralismo” dell’universo interiore di ciascuno, la sua policroma sfaccettatura, la sua singolarità.
“Non medicalizziamo le differenze umane, celebriamole”
è l’assunto provocatorio che sta a monte di questo saggio, accorato ma tutt’altro che livoroso nei confronti della psichiatria, una branca necessaria della medicina purché non diventi “troppa”, accecata dalla brama di curare (?) sempre e comunque. Compulsivamente.
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È un libro bellissimo. Dovrebbe essere letto da tutti i medici, da tutti gli psichiatri, da tutti i genitori e da tutti gli insegnanti. Nonostante lungo si divora in poco.