Punto di fuga
- Autore: Elizabeth Brundage
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2022
Immaginate i duellanti del romanzo omonimo di Joseph Conrad (1907) deprivati del senso dell’onore personale. Immaginate dunque due rivali meno nobili, sullo sfondo rampante del neoliberismo globale. Immaginateli rivaleggiare nel tempo senza armi bianche né pose militaresche, ma a forza di livore inespresso, genio (semmai) e autoreferenza, negli ambiti paradigmatici della fotografia artistica.
Niente di segnatamente aulico, a parte forse la donna-musa che c’è di mezzo, da cui discendono passione, grovigli sentimentali, accumulo di segreti e bugie. Se siete alla ricerca di ulteriori rivali alquanto celebri potete risalire a Mozart e al suo (in)fido Salieri: uno che vince sempre, l’altro che rosica abdicando dalla vocazione artistica per vile denaro.
Il thriller è nell’anima: della storia e nei romanzi di Elizabeth Brundage. L’ultimo, Punto di fuga (Bollati Boringhieri, 2022. Traduzione di Manuela Faimali), è un romanzo circolare garante di tensioni e passioni mai sedate, sempre a un passo dallo sfociare nel dramma (sin dalle prime pagine sai già che prima o poi succederà qualcosa di veramente brutto).
Punto di fuga è anche un romanzo d’impostazione “classica”, attraversato dalla vita, e dunque da amore e morte (anche in declinazione di perdita, rinuncia, abbandono) chiamate ad alimentare un’apprensione, per due terzi del racconto soprattutto mentale.
È proprio l’abilità con cui Brundage riesce a tessere e a governare la tela di ragno interiore dei suoi protagonisti che più sorprende, unitamente a una forma che sarebbe svalutativo non definire impeccabile. Insomma: Elizabeth Brundage declina il suo nuovo thriller (vagamente highsmithiano, non ci sono eroi ed eroine senza ombre), con taglio e passo ineccepibili. La sua scrittura sa essere ipnotica, dettagliata, incisiva ma al tempo stesso capace di lirismo descrittivo. Quel tanto che basta per non risultare stucchevole e suggestionare il lettore, come si dice incollarlo alla pagina.
“Il vento le si posa addosso come la mano di un estraneo” (pag. 78)
“Uscì e si incamminò verso casa, con l’odore della pioggia che sapeva di piscio di gatto e il cielo quasi giallo, e poi cominciò, prima un picchettio sulle foglie, poi un diluvio pazzesco, e il vapore si sollevava da marciapiede come fumo” (pag. 147)
“Era nevicato tutto il giorno e c’era molto freddo. Il cielo era di un blu scuro, punitivo” (pag. 191)
Mi annoia soffermarmi sulle trame, inducono spesso a idee superficiali sul romanzo. Solo poche parole in merito alla storia, dunque. Consideratelo un fastidioso dovere di cronaca.
Julian Ladd e l’affermato fotografo Rye Adler sono stati giovani coinquilini durante l’esclusivo Brodsky Workshop di fotografia. La convivenza ha rivelato al primo i propri limiti: non sarebbe mai stato all’altezza del talento dell’altro, e questa presa di coscienza comincia a fargli male. Quanto a Rye Adler, è troppo preso dal proprio talento per accorgersi del resto del mondo, a eccezione forse di Magda, una seducente compagna di corso, di cui anche l’amico subisce la fascinazione. Conviene dunque tenere a mente che quella sperimentata da Julian nei confronti dell’amico è una “doppia gelosia". Un insieme di invidia e ostilità che lo accompagna negli anni, fino al giorno in cui legge sul “New York Times” l’annuncio della sua morte. Recatosi giocoforza al funerale Julian resta colpito dal fatto che la cerimonia si celebra in assenza di cadavere (non c’è una bara) e ciò lo spinge a dubitare non solo del suo effettivo decesso ma a essere risucchiato tra le spire di un passato che credeva essersi lasciato alle spalle.
Questa, in sintesi, l’impalcatura contenutistica attorno a cui ruotano le convergenze parallele del romanzo, tenute insieme dal filo rosso della fotografia, di cui l’autrice agevola sottotraccia teorie e prassi.
“Una fotografia, sostiene Sartre, è una specie di morte, un momento intrappolato come un prigioniero, che non sarà mai più. In pratica, il fotografo sarebbe una specie di coroner del tempo?” (pag. 21)
Il romanzo in ultima analisi risulta bello e riuscito, raccomandato anche a chi non fosse particolarmente interessato al genere thriller.
Punto di fuga
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