Mariangela Gualtieri è una poetessa che molto tiene in conto lo stupore che bisognerebbe provare al cospetto delle cose, degli animali, delle stagioni. Nata a Cesena nel 1951, ha fondato negli anni ottanta il Teatro Valdoca insieme a Cesare Ronconi, una compagnia teatrale dove la sperimentazione linguistica diventa cardine, così come un poetare estremamente d’effetto.
Nell’ottobre 2019 è uscita la sua ultima raccolta dal titolo peculiare Quando non morivo, pubblicata da Einaudi nella cosiddetta Collana Bianca, per intenderci, quei libri dal formato ridotto e una poesia tratta dalla silloge stessa in copertina.
Subito si avverte un’introspezione ai massimi livelli, creata da una voce che giunge non si sa da dove, ma ricorda che “siamo” e quanto sia compito della parola incantare. “Non prendere la parola” dice la poetessa. “Lascia sia lei da sola. Diventa tu la preda. Sia lei che ti cattura”.
E così, il lettore si lascia inebriare da questi versi, congiunzione di terra e cielo, che hanno il compito di scuotere l’uomo, ricordargli la sua antica capacità di provare pietà, che nei secoli si è persa. Una “purezza ancestrale”, che non si arrende e crede che il mondo possa essere redento. Importanti sono anche le parti dedicate agli animali, aventi gli stessi diritti e la stessa considerazione che merita il genere umano, e quella a favore delle “Divinità domestiche”, dove spicca la poesia “Bambina mia”, in cui una madre dolcissima non vuole cedere al pessimismo circa il mondo malato lasciato in eredità ai figli. L’uomo affossa tutto, in sostanza, perché è facile farlo.
C’è splendore in ogni cosa. Non avere paura.
È il messaggio ultimo, presagio di speranza. E così, l’essere umano si perde nel bosco; nelle viscere della terra. Perché per ritrovare se stesso, egli deve necessariamente smarrirsi, dato che esiste il male e quella umana è una “specie con orchi”, cui è dedicata la penultima parte. Siamo tutto, siamo insieme, “siamo” e il filo conduttore diviene un sentimento panico che conduce al requiem: il gran finale.
Mentre si “puliscono” i pensieri, una necessità che più volte la poetessa avverte, la natura acquista il potere di far emergere la bellezza che c’è in questo mondo “sconquassato”. Con l’autunno che del morire crea un’epopea di colori. Oppure con l’aiuto della preghiera, che genera parole senza peso.
La parola Amore mi gira intorno. Vuole sempre venire in ogni riga.
La poesia raggiunge così il suo scopo. Quello di far emergere lo splendore che c’è in ogni cosa. Fra pulsioni contrastanti, in bilico fra smarrimento ed estasi. Evidenza e mistero.
Sono poesie belle, queste di Mariangela Gualtieri, che lasciano il segno. Di quelle che sarebbe un peccato, se non se ne consigliasse la lettura.
Quando non morivo
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chi ama la poesia esi lascia affascinare dall’incanto delle parole.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Quando non morivo
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