Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura, icona del teatro non solo italiano, capace di operare una rottura definitiva con il tradizionale teatro ottocentesco, scelse Roma per la prima assoluta della commedia dal titolo dirompente “Sei personaggi in cerca d’autore”, andata in scena al Teatro Valle il 9 maggio 1921. Non tutti sanno che fu un fiasco solenne: testimoni raccontano che l’autore dovette uscire dalla porta secondaria, mentre il pubblico lo minacciava gridando indignato “Manicomio, manicomio”, non riuscendo a capire quel testo, che diventerà invece pochi anni dopo il manifesto del “teatro nel teatro” e aprirà definitivamente la strada a tutta la grande cultura teatrale del ’900.
Dopo aver vissuto in Sicilia dove era nato e a Bonn dove si era laureato, Luigi Pirandello sceglierà Roma come sua dimora abituale. Nel 1892 si stabilisce nella capitale, dove frequenta i celebri caffè (Aragno al Corso, Bussi a via Veneto) nelle cui salette è facile incontrare scrittori che animavano la vita culturale della città, come Edmondo De Amicis, Luigi Capuana, duo conterraneo, Edoardo Scarfoglio, Cesare Pascarella e D’Annunzio (ambedue gli scrittori scrivono per riviste come La Tribuna e La Cronaca Bizantina).
Nel ‘94 Pirandello sposa Antonietta Portulano, che molto presto comincerà a soffrire di quei disturbi mentali che l’accompagneranno per l’intera vita. Malgrado la nascita dei tre figli, uno dei quali, Fausto, diventerà un importante pittore, Antonietta peggiorerà il suo stato mentale paranoico fino al definitivo ricovero nella clinica Villa Giuseppina sulla Nomentana. Pirandello cambierà molte case, cercando appartamenti ammobiliati in affitto le cui tracce troviamo in molte novelle, ubicati per lo più nei nuovi quartieri, quelli della Roma in piena trasformazione urbanistica, dove andavano sorgendo le costruzioni umbertine (il Macao, il Nomentano).
Pirandello abiterà per brevi periodi a via San Martino della Battaglia, a via Palestro, a via Alessandria, in via Giovanni Battista De Rossi e solo nel 1933 si stabilirà definitivamente a via Antonio Bosio 15 (precedentemente chiamata via Alessandro Torlonia), nell’appartamento ora divenuto sede dell’Istituto di studi pirandelliani (nella foto, lo studio di Pirandello, fonte).
La celebre raccolta delle Novelle per un anno ne contiene alcune che sono ambientate a Roma e che risentono dell’atmosfera triste, del clima inquieto, delle ansie e delle difficoltà psicologiche che lo stesso Pirandello viveva in famiglia, di quel male di vivere che era testimoniato dalla miseria di una plebe miserabile, di una piccolissima borghesia che viveva lontana dai fasti di quella “Belle Epoque” che pure veniva vissuta e celebrata in alcune fortunate élite della società romana.
Roma nelle novelle di Pirandello: interni ed esterni cittadini
Pirandello è un osservatore attento della città che lo circonda. Nella novella “Alberi cittadini”, osservando le piante che sorgono appaiate nei viali, sui marciapiedi o nei vasi dentro atri silenziosi di antichi palazzi, lo scrittore fa amare riflessioni e pensa
“ai tanti e tanti infelici che, attratti dal miraggio della città, hanno abbandonato le loro campagne e son venuti qua a intristirsi, a smarrirsi nel labirinto d’una vita che non è per loro... Le cesoie del giardiniere han pareggiato simmetricamente le cime di questi alberi e internamente hanno imposto ai rami la curva di una galleria, e ai lati gli archi d’un loggiato… Confesso che a me danno un senso di ribrezzo. E mi vien voglia di gridare: - Ma costruite di pietra i vostri portici! Questi sono esseri vivi che soffrono e fan soffrire…”
La novella Distrazione invece è tutta in esterni: sono le tre del pomeriggio di una giornata caldissima di agosto, un carro funebre guidato da un cocchiere insonnolito si avvicina ad un portone accostato, in una via del nuovo quartiere di Prati di Castello. Le case nuove, non ancora tutte abitate, hanno già un morto, che viene issato dai becchini sul carro, senza un fiore, mentre sola accompagnatrice del povero defunto è la sua servetta, con velo nero e ombrellino giallo. Il vetturino, che prima di allora aveva cambiato vari mestieri, si trova ora, pigro, inesperto e insonnolito dalla calura, a guidare i cavalli attraverso la città verso il Cimitero del Verano...
Ponte Cavour, via Tomacelli, via Condotti, piazza di Spagna, via Due Macelli, via Capo le Case, via Sistina, piazza Barberini, via San Nicola da Tolentino: con una precisione di chi conosce alla perfezione la toponomastica cittadina, Pirandello guida il suo stanco e distratto vetturino fino all’incidente che conclude il racconto; credendo di trovarsi ancora sulla sua botticella e non su di un carro funebre, Scalabrino, distratto, aveva fatto segno ad un distinto signore se voleva montare in vettura, provocandone l’indignazione e la denuncia pubblica.
“Tutta la gente che si trovava a passare per via e tutti i bottegai e gli avventori s’affollarono di corsa attorno al carro e tutti gli inquilini della case vicine s’affacciarono alle finestre, e altri curiosi accorsero al clamore, dalle prossime vie...”
Sempre in esterno, questa volta sul Lungotevere dei Mellini, Pirandello ambienta la prima parte della novella “E due”: il protagonista è un giovane giornalista disoccupato in seguito allo scandalo e al processo subito per debiti di gioco, Diego Bronner. Vagando di notte nella città addormentata, ha sentito dei passi vicino Ponte Margherita, si è guardato intorno malgrado il buio, ha sentito un tonfo, poi più nulla. Solo l’acqua nera del fiume, silenzio, quiete. Andando via certo di aver assistito non visto ad un suicidio, scorge sulla spalletta del ponte un cappello nero, abbandonato, che gli appare come un atto di accusa alla propria ignavia. A casa lo aspetta la vecchia madre, curva, claudicante, una sarta che ancora lavora malgrado l’ora tarda, attendendo quel figlio così infelice. L’interno dell’appartamento è descritto da Pirandello con un’efficacia narrativa e con una capacità di vedere negli oggetti lo specchio di un’intera classe sociale colta in un quotidiano di tragica decadenza e ristrettezza:
“Quella tetra saletta d’ingresso che aveva il soffitto basso basso, di tela fuligginosa, qua e là strappata e con lo strabello pendente, in cui le mosche s’eran raccolte e dormivano a grappoli... Vecchi arredi decaduti, mescolati con rozzi mobili e oggetti nuovi di sartoria, stipavano quella saletta: una macchina da cucire, due impettiti manichini di vimini, una tavola liscia e massiccia per tagliarvi le stoffe, con un grosso pajo di forbici, il gesso, il metro e alcuni smorfiosi giornali di moda”
Sembra quasi di trovarci in un odierno negozio di modernariato!
Il finale della novella non può che essere tragico, con la morte che aleggia senza che lo scrittore riesca a trovare antidoti per il riscatto del suo personaggio.
“Roma è morta. Ed è vano, creda, ogni sforzo per farla rivivere. Chiusa nel sogno del suo maestoso passato, non ne vuol più sapere di questa vita meschina che si ostina a formicolarle intorno. Quando una città ha avuto una vita come quella di Roma…non può diventare una città moderna, cioè una città come un’altra. Roma giace là, col suo gran cuore frantumato, a le spalle del Campidoglio”
Pensare che Pirandello quando scriveva queste frasi profetiche nelle pagine del suo romanzo più celebre e anche più difficile, “Il fu Mattia Pascal”, non sapeva di Alemanno né di Ignazio Marino, ma viveva nella capitale in anni relativamente fortunati, quelli di Ernesto Nathan, eletto sindaco nel 1907 e confermato nel novembre del 1911, rimasto in carica fino al 1913.
Sul sito del Comune di Roma si legge:
Il cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911, fu l’occasione per Roma di avviare un programma urbanistico rinnovatore. Ernesto Nathan, sindaco in quegli anni, sfrutta tutti i finanziamenti possibili per realizzare edifici e opere che diventano i simboli di Roma capitale del regno. Sono inaugurati in quell’anno il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia - che i romani battezzano subito il "palazzaccio" -, la passeggiata archeologica (un grande comprensorio di verde pubblico, oltre 40.000 metri quadrati tra l’Aventino e il Celio) e lo stadio Nazionale, l’attuale Flaminio, il primo impianto moderno per manifestazioni sportive.
Nel 1911, per celebrare il cinquantenario della raggiunta unità d’Italia, fu indetta una grande Esposizione Internazionale. Grandi opere pubbliche furono promosse, finanziate e realizzate: la Galleria d’Arte Moderna a Valle Giulia, il Palazzo delle Esposizioni a via Nazionale, tre nuovi ponti sul Tevere (Ponte Risorgimento, Ponte Vittorio Emanuele, Ponte dell’Industria, o Ponte di Ferro), la Mostra dell’Agro Romano, una mostra etnografica con la rappresentanza delle tradizioni di tutte le regioni d’Italia, fatta purtroppo di costruzioni effimere che poi andarono perdute, anche se vi avevano contribuito artisti importanti quali Duilio Cambellotti e Giacomo Balla.
La Roma che Luigi Pirandello descrive è tuttavia lo specchio delle sue inquietudini, del suo pessimismo, della tragicità della condizione umana e della follia che lui aveva sperimentato all’interno della sua stessa famiglia. Piccoli impiegati della Pubblica amministrazione, senza ambizioni e senza prospettive, fanciulle sagge e modeste, ragazze sedotte e perdute, sciantose esili ed affamate, giornalisti dissipatori, uomini falliti appena usciti di prigione, anziani musicisti di una qualche fama trascorsa, operai disoccupati: questi sono i simboli di un’umanità sofferente, una plebe romana non troppo lontana da quella immortalata dal Belli nei suoi sonetti poco più di cinquanta anni prima, questi gli abitanti della Roma pirandelliana protagonisti delle Novelle, de Il Fu Mattia Pascal e più tardi nel romanzo storico “I vecchi e i Giovani” pubblicato nel 1913, nel quale la società romana postunitaria, la classe politica al potere viene vista come una “Bancarotta del Risorgimento”. Gli ideali di quella stagione sono stati totalmente disattesi, ma ormai manca un solo anno allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che coincide tragicamente con la conclusione di quella stagione, bella e rimpianta.
Successivamente, tutto sarà irrimediabilmente diverso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Roma nelle opere di Luigi Pirandello
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