Rommel, ambiguità di un condottiero
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Per ventiquattro ore intere, dal mattino del 30 giugno 1942, i cannoni tedeschi tacquero ad El Alamein, dove pochi reparti britannici resistevano scollegati, mentre il grosso dell’Ottava Armata ripiegava in disordine verso Oriente.
Il comandante in capo inglese Hauchinleck non seppe mai perché l’arrembante neo feldmaresciallo avversario avesse fermato l’avanzata italo-germanica, consentendogli di portare in linea i rinforzi arrivati dall’Iraq e di imbastire con successo una difesa affrettata. Si legge in un saggio di Carlo De Risio, Rommel, ambiguità di un condottiero, pubblicato questa estate da IBN Editore di Roma (2021, collana Pagine Militari n. 56) illustrato con tante foto in bianconero a cura di Alessandro Santoni.
Carlo De Risio, nato a Vasto nel 1935 e giornalista professionista, si è occupato di storia contemporanea e tematiche militari. Ha lavorato nelle redazioni dei quotidiani Il Tempo, Nazione, Il Sole 24 ore, Gazzetta del Sud, nell’Agenzia di stampa ADNKronos e ha collaborato per cinquantanni alla rivista ufficiale della Marina Militare, come ad altre riviste specializzate. Per IBN ha firmato oltre venti saggi e testi storici, nei quali i contributi fotografici sono sempre a cura di Alessandro Santoni (Roma, 1971).
Sicchè, in quel fine giugno del 1942 la campagna del Nord Africa nella seconda guerra mondiale pendeva dalla parte del genio militare di Ulm, Erwin Rommel (1891-1944), ma né Auchinleck né nessun altro avrebbe potuto sapere perchè davanti a El Alamein Rommel sia venuto meno alla sua stessa direttiva perentoria di non lasciare in nessun modo al nemico di organizzarsi. Una motivazione d’ordine politico aveva spinto Mussolini a precipitarsi in Libia, presumendo imminente la conquista di Alessandria d’Egitto. Probabilmente l’ombroso neo maresciallo della Wehrmacht era stizzito, ritenendo che il tronfio duce italiano volesse rubargli la scena, dopo che le avanzate vittoriose avevano portato il nome Rommel sulla bocca di tutti.
O forse la “volpe del deserto” si era già spostato sulle posizioni antihitleriane che causeranno il suo suicidio col cianuro, dopo il fallito attentato contro il Führer.
Di famiglia borghese, il giovane Erwin si era arruolato diciannovenne in un Reggimento di fanteria, avviandosi alla carriera da ufficiale di mestiere, appannaggio soprattutto degli aristocratici nella Germania del kaiser Guglielmo. Tenente ventiseienne aveva conquistato con un pugno di wurtenberghesi il monte Matajur sul fronte di Caporetto, nell’ottobre 1917 e meritato la massima decorazione al valor militare collaborando all’accerchiamento di ingenti forze italiane a Longarone.
Tra le due guerre, per fare carriera da fuori casta nell’esercito, non aveva avuto dalla sua che la caparbietà e il senso del dovere. Durante l’offensiva del maggio 1940 in Francia comandò una delle dieci divisioni corazzate tedesche che piegarono gli anglo-francesi in tre settimane. Il suo contributo alla blitzkrieg fu decisivo: dalle “intransitabili Ardenne” la sua 7a Panzer risalì ad arco la Francia centro-orientale fino alla costa atlantica.
Quando all’inizio del 1941 venne inviato con l’Africa Korps a sostenere l’alleato italiano ributtato dai britannici fino a Tripoli, contrattaccò subito, prima ancora di radunare l’intera forza in arrivo nei porti libici. Padrone della manovra in campo aperto, freddo, instancabile, rapido nelle decisioni e nel cambiare progetto, non era ancora il gigante che sarebbe diventato di lì a poco: Carlo De Risio rileva che il suo superiore in Libia, generale Gariboldi, non gradì l’iniziativa e arrivò a pretendere che tornasse sulle linee di partenza.
I panzer macinarono chilometri, ripresero Bengasi e oltrepassarono la piazzaforte di Tobruk, assediandovi gli australiani. Non lo ostacolava in queste fasi l’essere un genio della tattica con qualche lacuna invece sul piano della strategia. In quella materia era superato dal comandante dello scacchiere mediterraneo dell’Asse, Kesselring e da molti altri connazionali.
Ma se risultava a disagio nel districarsi tra i lacci diplomatici di una guerra di coalizione - non teneva buoni rapporti con i comandi italiani e veniva ricambiato - era un genio nel fare di necessità massima virtù, gestendo al meglio reparti sotto organico. Le divisioni corazzate dell’Afrika Korps e poi dell’Armata che comprendeva le italiane Ariete, Littorio e Trieste (con i nostri fragili carri medi “casse da morto rotolanti”), furono spesso ben deficitarie quanto a panzer assegnati. Occorreva fare i conti con i convogli navali, attaccati dagli inglesi e difesi con difficoltà.
L’autore mette in risalto che gran parte del mito Rommel si deve all’altissima considerazione che ne avevano gli avversari.
Auchinleck ritenne di diffondere un ordine del giorno ai comandanti in Medio Oriente, chiedendo di smettere di considerare Rommel:
L’uomo nero. Pur cosi energico e ardito, non è in alcun modo un superuomo. Ed anche se lo fosse, non è auspicabile che le nostre truppe gli aggiungano altri poteri soprannaturali.
Chiedeva perciò di opporsi con tutti i mezzi all’idea che fosse qualcosa di più di un comune generale tedesco.
Se restano oscure le ragioni dello stop a El Alamein a fine giugno - non corretto dalla poco ispirata offensiva lanciata a fine agosto 1942 - è di tutta evidenza che una possibile vittoria in Nord Africa venne ostacolata anche dalla gravissima sottrazione di artiglierie efficaci e automezzi italiani gettati inutilmente contro l’Armata Rossa nella sciagurata partecipazione alla campagna di Russia, voluta da Mussolini per motivi esclusivamente politici. L’Armir nelle steppe servì agli inglesi più delle loro divisioni australiane, sudafricane e coloniali.
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