Salassi. Memoria di un popolo scomparso
- Autore: Riccardo Petitti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
È dedicato a un’etnia alpina occidentale che avrebbe fatto volentieri a meno della civiltà di Roma, il nuovo saggio dell’architetto scrittore eporediese Riccardo Petitti, un gran libro, formato album (21x30 cm), riccamente e fittamente illustrato soprattutto a colori e intitolato Salassi. Memoria di un popolo scomparso, pubblicato l’anno scorso dall’Editrice Tipografia Baima Ronchetti di Castellamonte-Torino (2023, collana Libri in Libertà, 252 pagine). In appendice, la vera storia della battaglia del Ticino, da rinominare battaglia di Vittumula, come vedremo.
Di padre canavesano e madre valdostana, Petitti è nato nel 1941 a Ivrea, dove ha svolto la professione dal 1970 che lo ha portato a interessarsi dell’origine e delle fasi altomedievali del duomo, pubblicando volumi, oltre che del breve ma cruciale e inesplorato periodo bizantino. I suoi studi sono attenti ai segni più antichi ed enigmatici del territorio, dalle incisioni rupestri (Valchiusella archeologica, 1971) ai passaggi storici (Sentieri perduti, un sistema celtico di allineamenti, 1987) sull’arco alpino (Annibale sulle orme di Ercole, 2000; Annibale e Bes sulle Alpi, 2022). Ma la vicenda del condottiero cartaginese è stata fatale ai Salassi, dice.
Con quasi 40 mila uomini e migliaia di animali, compresi grandi elefanti, il condottiero cartaginese Attila scavalcò l’ostacolo montano, considerato insuperabile dai Romani. Entrando nella pianura padana da occidente, dette inizio alla seconda guerra punica, segnata dalle sue vittorie sul Ticino, alla Trebbia, lungo il Trasimeno e a Canne, con l’assedio però mancato ad una Roma in difficoltà.
Nell’attraversare le attuali Val d’Aosta e Piemonte, il Barcide incontrò, si scontrò o venne aiutato dalle popolazioni locali. Se i Taurini gli furono ostili, altri popoli celti collaborarono. Di tutti, però, uno solo subì la vendetta romana dell’annientamento, in una lenta agonia durata 118 anni. Ai Salassi, Roma aveva chiesto di bloccare i valichi, ma quelli trovarono il modo di consentire il passaggio all’esercito cartaginese, magari dietro promesse di libertà e prosperità o per antichi rapporti commerciali. Ma se tradimento c’era stato, perché non punirli apertamente, come gli altri Celti e Liguri che avevano abbandonato il campo romano per passare ad Annibale? Perchè i conti con loro vennero tanto rinviati e si volle vestire le spedizioni punitivi di tanti pretesti? Volevano nascondere di averli pagati ed essere stati beffati.
Nel 143 a.C., tre anni dopo la distruzione di Cartagine, il console Appio Claudio guidò un esercito numeroso a sconfiggere quel popolo alpino, riportando perdite pesanti ma uccidendo oltre 5 mila nemici, secondo lo storico Paolo Orosio, del V secolo d.C.. Seguirono altri interventi armati e una strategia di costante aggressione (compresa la deviazione del corso del fiume Dora, che impoverì il territorio dell’anfiteatro morenico poi eporediese), conclusa con la deportazione in schiavitù di migliaia di donne e bambini.
Quel popolo alpino venne letteralmente cancellato, secondo Polibio. Se ne persero le tracce storiche, tanto che pochissime citazioni lo ricordano e non è nemmeno accertato se tra i Salassi prevalessero gli agricoltori o i cercatori d’oro, nella valle aurifera della Dora. È perfino arduo collocarli geograficamente in un’area determinata: scrivendo dell’arco alpino piemontese, Strabone sosteneva ch’era abitato dai Taurini, oltre i quali venivano i Salassi, al di sopra del Po. Niente di più preciso.
Dagli storici antichi è stata riservata loro qualche scarna citazione solo quando sono stati liquidati dai Romani. Sicché una storia dei Salassi non è ma mai stata scritta, fa presente Riccardo Petitti, perché i Celti non praticavano la scrittura e perché nessuno si occupa di gente che vive pacifica per secoli nel proprio territorio, in armonia con la natura, seguendo la propria cultura. “I popoli felici non hanno storia”, lamentava Raymond Queneau.
All’architetto non interessa sciogliere il dubbio se quel popolo evaporato ventidue secoli abbia subito un genocidio o sia stato semplicemente assorbito nell’identità latina. L’obiettivo del suo lavoro traspare chiaramente dalla premessa al volume. Parlando di questo popolo, non avrebbe senso riproporre il cliché cattivi contro buoni, ennesima rimasticatura di argomenti privi di fondamento. Se i pochi atti sui Salassi sono quelli prodotti dai suoi nemici, restino pure dove sono. Va interrogato il territorio, archivio dei documenti più seri e imparziali, anche più ricchi di potenzialità conoscitive; non con la presunzione di tracciare un quadro esauriente, ma per
gettare un sasso nello stagno della conoscenza del nostro passato.
E con la speranza di stimolare qualche iniziativa di studio su l’uno o l’altro di tanti aspetti.
Il saggio ragiona sui segni dell’habitat salasso. Esaminati con attenzione, dicono tanto sul popolo che l’ha popolato per secoli, stante peraltro lo spiccato rispetto dei Celti per la natura. Nella ricerca di archeo-tracce del popolo scomparso, è sembrato un po’ per volta che i brandelli sparsi si organizzassero in un che di compiuto, articolando un racconto che consente di fare progressi nella percezione di quella gente e del dramma che l’ha cancellata dalla storia.
Il transito di Annibale nel territorio dei Salassi e l’evidente aiuto prestatogli fanno luce sulla loro tragica fine, offrendo finalmente gli elementi necessari per comprendere i veri motivi dell’innegabile e insistita crudeltà del loro destino. Allo stesso tempo, i progressi storici consentono all’autore di contestare il racconto di Tito Livio sulla distruzione di Vittumula, che lo storico latino attribuiva ad Annibale, e di avanzare una nuova ipotesi sul sito e sulle circostanze della battaglia del Ticino, da ribattezzare battaglia di Vittumula.
Salassi. Memoria di un popolo scomparso
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