Sardegna ispanica
- Autore: Francisco Elías de Tejada
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Spagnolo? Cattiva fama in Italia. Storicamente, è come dire “oppressore”, un sinonimo che regge da tanti decenni nella cultura italiana pre e post unitaria. E quando si parla di monarchia ispanica si pensa alla decadenza, all’assolutismo, al tramonto della cultura. Ma è sbagliato, è un pessimo luogo comune, derivato dalla propaganda storico-politica risorgimentale. Il riscatto dei fratelli latini è in un libro-documento, certo non popolare e adatto a tutti, il saggio del madrileno Francisco Elias de Tejada (1917-1978) Sardegna ispanica, pubblicato all’inizio del 2020 dalle edizioni Solfanelli di Chieti (312 pagine).
Sulla dominazione spagnola, specie nel Mezzogiorno d’Italia durante il 1600-1700 e sulle ambizioni della corona di Madrid nei confronti del resto della penisola, si è abbattuta senza appello un’autentica damnatio memoriae.
Gli ex ragazzi della mia età hanno studiato la storia più di altre generazioni e i programmi scolastici si soffermavano molto sulla disunità d’Italia in tanti staterelli dopo la caduta dell’impero romano. Tutta colpa dello “straniero”, ci veniva detto, insistendo a lungo sul riscatto patriottico risorgimentale. I testi ci consegnavano due stereotipi: il tedesco invasore e l’ignavo spagnolo. Questo generava nei confronti degli iberici un complesso di superiorità nazionalistica del tutto ingiustificato, conoscendo e apprezzando i tanti valori della gente di Spagna.
Al contrario, se i cavalieri spagnoli avessero lasciato nel Sud che hanno tenuto tanto a lungo un pizzico in più della loro hidalguia, la storia nazionale ne avrebbe guadagnato. Irrobustite dagli attributi dell’hidalgo (orgoglio, dignità, coraggio, valore), le qualità dei meridionali avrebbero reso ancora più grande l’Italia.
De Tejada, intellettuale spagnolo, pubblicando nel 1960 la prima edizione del suo lavoro metteva in risalto il periodo ispanico in Sardegna come una stagione di ripresa dell’isola, dopo le amministrazioni di rapina delle due Repubbliche marinare tirreniche settentrionali, Pisa e Genova, seguite dall’anarchia dei Giudicati. Del resto, per un popolo fiero come quello sardo, quattro secoli di regno ispanico senza una rivolta popolare sono la dimostrazione che gli isolani si sentivano ben amministrati, certo non asserviti.
Il Regno sardo-spagnolo vive dal 1323 al 1848, diviso in due fasi separate. Prima di passare ai Savoia, costituiva un’entità indipendente legata alla corona Aragonese, ma godeva di autonomia e istituzioni proprie, in un regime di autodeterminazione che non avrebbe conosciuto paragoni in Europa per secoli.
Va messa in risalto anche l’affinità culturale e di sentimenti tra i sardi e gli spagnoli, come d’altra parte tra gli iberici e gli italiani dei secoli scorsi. Al netto del giogo delle tasse e gabelle, se si sorvola sul rispetto preteso dalla nobiltà, non restava nulla di censurabile nell’indole dello spagnolo: erano cattolici, condividevano lo stesso concetto generale di giustizia l’amore per la vita e il senso della famiglia.
In Sardegna, inoltre, il presidio militare era affidato totalmente a milizie arruolate nell’isola, quindi non figurava lo spagnolo oppressore in armi, non si registravano prepotenze su basi etniche, l’istituzione militare non era un corpo estraneo.
Tutto questo è quanto di più lontano dal poter considerare la lunga appartenenza iberica dell’isola una dominazione. L’autore lo mette in risalto compiutamente, sotto tanti aspetti multidisciplinari, nel suo saggio impegnativo, come si può notare da ogni pagina.
Storico della politica e filosofo del diritto, de Tejada ha trascorso un lungo periodo di permanenza e studio a Napoli (dove trovò anche moglie), rafforzando la conoscenza della cultura italiana e approfondendo la storia della presenza spagnola nel nostro Paese, considerata a torto come abbiamo visto la quintessenza di una dominazione “ignorante”.
Tanto di questa cattiva fama si deve ad Alessandro Manzoni. Nei Promessi Sposi, Manzoni condanna gli iberici come biechi occupanti. L’antispagnolismo era uno degli strumenti ideologici risorgimentali. Lo scrittore e patriota napoletano Luigi Settembrini denunciava i secoli XVI-XVII come il periodo più buio dell’Italia disunita, per il saldarsi di due poteri: quello temporale del Papato e quello della Spagna, che difendeva i valori più oscurantisti, il cattolicesimo bigotto e il gesuitismo ipocrita.
Tempi bui quelli dell’Italia ridotta a provincia di Spagna anche secondo il letterato Francesco De Sanctis, che estendeva alla sfera culturale l’influenza negativa della Spagna sull’Italia dominata. Pur riconoscendo che il governo ispanico aveva assicurato pace e stabilità, metteva in risalto il ruolo della Spagna di braccio armato del cattolicesimo vaticano, quello sì retrogrado e liberticida rispetto alle aperture che il protestantesimo introduceva in Europa.
Tra le oltre trecento opere di Tejada, questa si rivolge a chi voglia approfondire le vicende sarde tra il XV e il XIX secolo, ma può essere utile per verificare il “funzionamento” di una monarchia cattolica periferica, ma sotto tanti aspetti autonoma, quanto di più lontano dall’assolutismo delle grandi monarchie dell’ancien régime. Le separava un abisso, erano agli antipodi, più lontane di quanto si possa immaginare.
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