Permane il mistero sulla scomparsa di Ettore Majorana, avvenuta il 26 marzo 1938. Il geniale fisico siciliano da un giorno all’altro divenne introvabile per sempre, dopo un viaggio compiuto da Napoli a Palermo. Tra i "ragazzi di via Panisperna" a Roma era l’unico che potesse dialogare da pari a pari con Enrico Fermi, destando stupore per la sua capacità matematica, la creazione di equazioni e la velocità nei calcoli, effettuati quasi sempre a mente, o appuntati su semplici foglietti di carta. Il suo mito perdura, non soltanto riguardo al caso insoluto della fine, ma per il fascino della sua personalità, la riservatezza, il vivere defilato anche rispetto ai compagni scienziati, per la modestia e la timidezza che lo caratterizzavano fin da bambino. I grandi creativi sono differenti da tutti.
Leonardo Sciascia ne traccia il profilo nell’inchiesta che diventa romanzo La scomparsa di Majorana, recentemente pubblicato da "la Repubblica" per i cento anni dalla nascita dello scrittore, insieme al saggio sul caso Uno strappo nel cielo di carta di Lea Ritter Santini.
La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia
Fin dalle prime pagine Sciascia si preoccupa di scavare nell’animo di Majorana. Già da bambino di tre, quattro anni, quindi neppure scolarizzato, il fisico sapeva risolvere operazioni di somme, moltiplicazioni e perfino radici quadrate con numeri di tre cifre, nascosto sotto un tavolo, quasi fosse un eremita in erba, in meditazione. Gesti e atteggiamenti simbolici i suoi, quasi un presagio di fuga. I genitori lo esibivano di fronte agli ospiti, come accadeva con i bimbi capaci di ripetere le poesie a memoria, secondo l’uso tanto simpatico dei bei tempi andati.
L’inchiesta sulla sparizione venne condotta dal capo di Polizia Arturo Bocchini, su pressione di Giovanni Gentile e con interessamento di Mussolini. Il pensiero del poliziotto centra l’essenza del genio, ma qui si tratta della fine psicologia e fantasia di Sciascia:
"La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia: e il giovane professore quel passo lo aveva fatto, buttandosi in mare o nel Vesuvio o scegliendo un più elucubrato genere di morte.”
Così crede Bocchini. Questa follia è la "sacra mania" platonica. Majorana era un posseduto, un mistico unito totalmente all’oggetto della sua ricerca, esaurita la quale non restava altro da compiere, se non sparire o morire. Dunque il ragazzo, consapevole di ciò, tentava di sottrarsi all’esito, chiuso in un isolamento voluto, con il desiderio di procrastinare la sua uscita dall’ombra, per non dover assumere un ruolo cardine fondamentale, per lui inaccettabile. L’immagine che ce ne dà lo scrittore è conturbante e bellissima:
"Nell’ordine della conoscenza o, per dirla approssimativamente, della bellezza: nella scienza o nella letteratura o nell’arte – appena dopo è la morte. E poiché è un ’tutt’uno’ con la natura, un ’tutt’uno’ con la vita, e natura e vita un ’tutt’uno’ con la mente, questo il genio precoce lo sa senza saperlo. Il fare è per lui intriso di questa premonizione, di questa paura. […] Tenta di sottrarsi all’opera, all’opera che conclusa conclude. Che conclude la sua vita.”
Una precocità “identica a quella di altri precoci. Giorgione, Pascal, Mozart: per limitarci ai casi più conclamati. Una mente matematica, una mente musicale. Una mente ’calcolatrice’”.
Quindi infine, come sono andate veramente le cose: suicidio o ritiro in un convento? La risposta è meno importante delle motivazioni che generarono i fatti. Perché il fisico scomparve? Quali tormenti, premonizioni o profezie si erano fatte chiare nella sua intelligenza?
Sciascia si dimostra come sempre un ottimo segugio, segue tracce ma innanzitutto quelle del cuore, secondo un’istanza etica superiore. Se la scienza diventa tecnologia applicata al male e alla distruzione, che valore ha la conoscenza? Che uso possiamo farne? È possibile che Ettore Majorana, intuendo la costruzione della bomba atomica, abbia voluto non essere compartecipe di un tale esito e destino.
Contro la tesi del suicidio esistono alcuni elementi, come il fatto che il professore avesse portato con sé passaporto e denaro. Ciò non avvenne in un altro caso misteriosamente analogo, la scomparsa dell’economista keynesiano Federico Caffè, volatilizzatosi nel nulla il 15 aprile 1987. Caffè lasciò sul suo comodino gli effetti personali, compresi gli occhiali.
Chiudiamo il libro con pensosità, gli enigmi restano irrisolti, ma siamo pure (forse) convinti di una tesi provata soltanto dall’anima. È nel cimitero del convento in cui si ipotizza che Majorana abbia fatto perdere le sue tracce, e dove si prova qualche brivido e pure una grande pace, che si conclude la storia. La figura emblematica del frate sapiente ed ermetico saluta in modo allusivo, e Sciascia saluta il lettore dal grande scrittore che è:
“Una inviolabile pace è tra quelle croci nere. Ci sentiamo in pace anche noi.
Sulla soglia, salutandoci, il certosino domanda: “Ho dato risposta a tutti i vostri quesiti?” Nell’incertezza del suo italiano o nella certezza del suo latino?
Ne abbiamo posti pochi, lui ne ha indovinati molti ed elusi. Ma rispondiamo che sì.
Ed è vero.”
Recensione del libro
La scomparsa di Majorana
di Leonardo Sciascia
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La scomparsa di Majorana di Sciascia: quando l’inchiesta diventa romanzo
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