Si vede che non era destino
- Autore: Daniele Petruccioli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
“Ave Maria, adesso che sei donna, Ave alle donne come te Maria”, così cantava Fabrizio De André nella sua Buona novella restituendo alla figura della Madonna la centralità che meritava e che le narrazioni evangeliche le hanno sempre negato.
La voce di Maria, la madre di Gesù, è la grande assente delle Sacre Scritture. Presenza silenziosa, discreta, la Madonna appare quasi la spettatrice passiva di un dramma di cui, in realtà, è assoluta protagonista dal principio alla fine. Eppure Maria non parla mai, possiamo rintracciare una sua fugace affermazione soltanto nelle Nozze di Cana quando, riferendosi al figlio Gesù, si rivolge ai commensali dicendo: “Fate quello che vi dirà.”
Il linguaggio di Maria, a partire dall’annunciazione e da quel suo “Sì” pronunciato in risposta all’angelo, è declinato all’obbedienza. Non si contano nel mondo le preghiere, le statue, gli affreschi e i dipinti dedicati alla sacra figura di Maria Vergine; eppure la religione parla un linguaggio maschile, “nel nome Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, possibile che lo spazio letterario riservato alla madre di Gesù sia così esiguo?
A rimediare ci pensa Daniele Petruccioli che attraverso Si vede che non era destino, edito da TerraRossa Edizioni, conferisce a Maria il diritto di dire “Io” e di raccontarsi in prima persona in un inedito Vangelo al femminile.
È lei stavolta - e non suo figlio - la protagonista assoluta della propria storia. La vediamo bambina, poi donna, costretta a crescere in fretta insieme a quel bambino inatteso che porta in grembo come un dono e che poi vedrà la luce nel buio di una stalla. Maria è smarrita e confusa, soggiogata da un destino che non ha scelto e tuttavia non subisce passivamente, perché c’è in lei la forza per ragionare e capire e discernere. Anche in lei è presente qualcosa di magico, di divino, come in suo figlio. Petruccioli lo chiama “l’argento”, è una sorta di esperienza mistica che Maria vive sin da quando è bambina: vede cose che gli altri non vedono, sente cose che gli altri non sanno.
Tutto era dolorosissimo e tranquillo, immobile, di pietra e luce. Era mio, lo è sempre stato, l’ho sempre saputo, questo mondo morto e brillante, solido, da cui mamma e papà mi hanno sempre voluto salvare. Solo che non si può. Viene una grande calma quando sai che non ti puoi sfilare via il dolore, diventa come una pelle. Quasi non fa più male.
I genitori credono sia malata - del resto una delle spiegazioni più congeniali per giustificare simili “stranezze” - e Maria, dal canto suo, cerca di governarsi, di limitarsi, di apparire a ogni costo “normale”.
Una volta diventata madre teme di aver trasmesso quella sua bizzarria al figlio, Ieshua, e si sente di nuovo in colpa: crede che l’eccessiva sensibilità del figlio sia dovuta all’“argento” ereditato su base genetica. Il suo è infatti un bambino che, come lei, soffre acutamente per il dolore del mondo; solo che Gesù quel mondo pretende di cambiarlo, mentre lei si è limitata ad accettarlo.
È una Maria molto umana quella narrata da Daniele Petruccioli, capace di narrarci fatti straordinari facendoli apparire assolutamente semplici, normali, quotidiani, forse più vicini alla loro effettiva verità storica. Non avvengono miracoli nel “vangelo umano” raccontato dall’autore; eppure un senso pervasivo di realismo magico contamina tutta la narrazione.
Alle strane e imprevedibili svolte della sua vita Maria reagisce con una frase simile a una preghiera, divenuta una sorta di ritornello ripetuto nelle pagine Si vede che non era destino, che dà il titolo al libro.
Durante la lettura si assiste a un continuo cambiamento, a un’evoluzione, e si è spettatori di un eccezionale espediente narratologico: la voce di Maria cresce con lei.
Mi manco io. Mi manco per com’ero, spaurita, spensierata. I miei bambini sono tornati, è vero, ma anche loro non giocano più. Mi guardano (lo sento, che mi guardano) e mormorano cose preoccupate con quelle vocine incomprensibili. Ho la sensazione di averli delusi. Ho la sensazione di deluderli ogni giorno.
Eppure capisco tante cose, molte più di prima, so molto più di me e degli altri, adesso. Ma non mi piaccio.
Petruccioli governa così bene la materia lessicale del suo romanzo da farci risuonare nella testa la voce di Maria prima bambina, poi adulta e, infine, anziana: ne sentiamo il timbro mentre si fa più roco, lento, riflessivo, la svagatezza delle prime frasi ritmate cede il passo a un periodare più lento. Petruccioli fa crescere Maria capitolo dopo capitolo e conferisce alla sua figura una tale autenticità che pare impossibile sia un uomo a narrarla. È un personaggio a tutto tondo che invita a un’identificazione totale e, nello svolgersi del suo racconto, non abbiamo dubbi che le cose siano andate esattamente così come lei le descrive - e proviamo persino un po’ di fastidio per quel Gesù (nel romanzo viene chiamato Ieshua secondo l’antico nome aramaico, Ndr) così ribelle, scostante, indocile, che senza volerlo provoca tanto dolore a sua madre.
Siamo persino autorizzati a pensare che forse Maria avrebbe desiderato un figlio più semplice, un figlio diverso, e sulle sue spalle sia calato un peso di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno. Come tutti i genitori Maria teme per il figlio, vive un senso costante di paura e apprensione per lui, si preoccupa per la sua incolumità. Questo lo capiamo soprattutto nelle ultime pagine, perché Petruccioli sceglie di fermarsi a un passo dalla sofferenza più grande, lasciandole scorgere il Monte Calvario soltanto da lontano.
La visione laica dell’autore dà voce a una madre molto contemporanea che si trova spesso in disaccordo con le idee del figlio e vive sulla propria pelle il divario generazionale. Spesso Maria ammette di non essere in grado di capire e non si piega mai passivamente alla volontà di Ieshua, anzi, lo mette in guardia.
Lei è la madre e, come tutte le madri, non vuole vedere suo figlio morire. Petruccioli ci mostra persino il momento del parto - completamente assente nelle rappresentazioni figurative che ci restituiscono solo Annunciazione e Nascita. Questo Gesù che si “è fatto uomo per noi” è stato generato da una donna, Maria; l’autore ce lo ricorda facendo partorire la Madonna con dolore in una scena di grande pathos. Niente visioni idilliache o consolatorie dunque, niente comete, buoi o asinelli, ma una donna che nella paglia geme, soffre e si contorce e crede di star per morire. Gesù nasce da questa sofferenza; è “il frutto del suo grembo”, come ricordano le preghiere.
Il vangelo laico di Daniele Petruccioli trae ispirazione dai testi apocrifi e sceglie opportunamente la declinazione al femminile: dà voce a Maria, a Elena - la balia di Ieshua - e infine a Maria Maddalena che si confronta con la Madonna in un bellissimo dialogo finale. L’autore, che aveva già dato prova della sua abilità narrativa ne La casa delle madri entrato nella dozzina del Premio Strega 2021, ci stupisce moltiplicandosi in una visione femminile plurale e diversificata. Le “personagge” di questa storia, Maria, Elena, la Maddalena, sono tutte diverse e tutte egualmente vive mentre ci raccontano senza censure la loro verità.
Fabrizio De André diceva che Gesù di Nazareth è stato il più grande rivoluzionario di tutti i tempi, e a questo personaggio in “direzione ostinata e contraria” aveva già dedicato una canzone presente nel suo primo disco Si chiamava Gesù (1967).
Che dire allora di sua madre, di Maria, la Madonna? Petruccioli ci mostra la rivoluzione timida compiuta da questa donna, riconoscendo che in realtà il “grande mistero” è stato originato da lei.
L’incipit del libro riprende, significativamente, la preghiera ebraica dedicata alla Madonna che non dice Ave, ma è semplice e spontanea come il saluto che si rivolge a una donna incinta:
Ciao Maria, quanto sei bella!
Si vede che non era destino (Sperimentali)
Amazon.it: 8,90 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Si vede che non era destino
Lascia il tuo commento