Sisters in Arms. Donne guerriere dall’antichità al nuovo millennio
- Autore: Julie Wheelwright
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Fratellanza d’armi, un termine entrato nel gergo comune a sottolineare il legame motivazionale o ideologico che rafforza la solidarietà tra gruppi di combattenti. Si può declinare al femminile? Si può parlare di sorellanza d’armi? È quello che in un saggio sul tema si chiede Julie Wheelwright, ricercatrice ed esperta della presenza di genere nelle forze armate, giornalista della carta stampata e della televisione e docente d’inglese nella londinese City University. Lo ha fatto già nel 1989, tornando a rivedere e aggiornare il suo lavoro nel 2020, apparso in Italia per le Edizioni Odoya di Città di Castello, nella traduzione di Annarita Guarnieri, col titolo Sisters in Arms. Donne guerriere dall’antichità al nuovo millennio (aprile 2021, 336 pagine).
Interroga ancora una volta la storia, per verificare la consistenza del fenomeno e offre le risposte, in una verifica che copre non pochi millenni, dal mito delle Amazzoni alle marinaie sui velieri pirati del 1700, fino all’arruolamento femminile formale negli eserciti contemporanei.
Sorelle in armi, quindi: ci sarebbe da pensare a un movimento collettivo, tanto più che nella seconda metà del Novecento le donne sono entrate ufficialmente nelle forze armate di linea. Nelle due Guerre del Golfo, 1991 e 2003, gli iracheni hanno preso prigioniere ufficiali, sottufficiali e soldatesse americane e britanniche. Nelle parate militari, soprattutto in Russia, Cina e Corea del Nord, sfilano intere unità composte e guidate esclusivamente da donne, col particolare in qualche modo vezzoso delle gonne sagomate appositamente sul retro per facilitare il passo di marcia marziale. Su YouTube ci si imbatte di frequente in filmati che riprendono formazioni femminili perfettamente inquadrate e schierate, in occasione di sfilate, in Stati islamici che non riconoscono invece una sostanziale parità civile tra i sessi.
E non dimentichiamo le componenti della scorta del colonnello Gheddafi, che la propaganda del dittatore libico vantava come un reparto scelto e che il raìs ha sempre esibito nelle visite in Italia all’ “amico” Berlusconi come amazzoni in perfette uniformi occidentali e, se vogliamo, piuttosto tonde. Vere signorine grandi forme, sparite però all’istante dallo scenario militare reale al momento del bisogno, ai primi colpi della guerra civile che ha rovesciato e ucciso lo spregiudicato leader della Jamahiriya.
In precedenza, però, nel corso dei millenni, la presenza di donne in armi è stata un fenomeno individuale, rarefatto, su scala numerica poco consistente, pur restando una curiosità storica di rilievo.
Fino al XX secolo, le amazzoni e le combattenti vichinghe sono rimaste eccezioni in un contesto di militanza bellica femminile non di gruppo ma da singole.
Si deve agli antichi greci la diffusione della leggenda delle donne guerriere, che si mutilavano un seno per tirare con l’arco (secondo alcuni grecisti, amazon significherebbe senza seno) e si opponevano in armate compatte agli avversari maschi. In effetti, la cultura e la storiografia greca hanno fatto eco alla tradizione delle guerriere scite, che venivano addestrate con gli uomini, vestivano in modo pratico come loro e si battevano insieme contro i nemici. Lo dimostrano i ritrovamenti archeologici di scheletri femminili in Ucraina, inumati con intere panoplie d’armi.
Dal duemila a.C., si salta agli scritti datati 1300 di Saxo Grammaticus, che descrivono bande piratesche composte da donne sassoni, gote e svedesi, dedite ad assalire e depredare come gli uomini.
Per quattro millenni, perciò, il contesto delle donne armate si può restringere a tre categorie. Le donne e mogli di militari, al seguito dei propri uomini nel momento in cui scoppiano i combattimenti e che vi prendono parte. Quelle che si sono travestite da uomo per arruolarsi, con o senza la complicità maschile. Infine, le poche alle quali è stato concesso in via eccezionale il permesso di arruolarsi in unità maschili.
Fino alla seconda guerra mondiale, il racconto della donna soldato deve limitarsi quindi a iniziative estemporanee, con l’eccezione del Battaglione interamente femminile dell’esercito zarista, al comando della prima soldatessa ufficiale Marija Bočkareva, arruolato, addestrato e condotto all’assalto in prima linea per spingere gli uomini a seguire l’esempio. L’unità, accasermata nel novembre 1917 nel Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, venne investita dall’irruzione dei rivoluzionari sovietici. Non mancarono molestie e violenze.
Sempre sovietiche le prime vere combattenti sul fronte russo contro i nazisti: micidiali tiratrici scelte e piloti militari, le Streghe della Notte.
Riassumendo, in genere si è trattato per lo più di ragazze che si univano a formazioni combattenti nascondendo la femminilità e contando sul fatto che bastasse acconciarsi con abiti e capigliatura maschili. Bastava dichiarare la disponibilità all’arruolamento, non venivano effettuate visite mediche.
L’autrice le ricorda nome per nome e caso per caso, nei vari secoli ed eserciti (si calcola che almeno 400 donne abbiano preso parte alla guerra di secessione americana, tanto con i blu che con i grigi). Lamenta che per poche centinaia di combattenti note in varie epoche, migliaia siano rimaste sconosciute. Hanno preso parte a battaglie, ma la storia le ignora o ha fatto calare un deliberato silenzio, come sostiene la storica militare Linda Grant De Pauw: il loro ruolo implicava significati sociali e sviluppi emotivi che si è preferito cancellare.
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