Sofferenza creativa
- Autore: Iulia de Beausobre
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Graphe.it edizioni
- Anno di pubblicazione: 2023
Una mistica sui generis. Iulia de Beausobre fece della spiritualità cristiana il suo orgoglio, finendo al confino con Stalin, riuscì a scappare in Inghilterra dove si risposò di nuovo. Scrittrice dai tre nomi: quello russo, quello del matrimonio aristocratico, quello da risposata in Inghilterra. Per comodità useremo il cognome ereditato dal primo marito, un diplomatico russo.
Prima di scrivere di spiritualità cristiana alla maniera di una mistica, Iulia de Beausobre era un ragazza ricca e distratta del mondo aristocratico russo prima della vittoria bolscevica. Già sposata, fu deportata al confino dove rischiò più volte di morire: scarlattina e difterite, ma a devastarla più di tutto furono la morte del figlio e la fucilazione del marito Nikolay, tutte esperienze che trascrisse nel libro The woman who could not die, non ancora tradotto in italiano.
Grazie all’escamotage di passaporti finti Iulia arrivò in Inghilterra. Nel 1940, scrisse Creative suffering, diventato ora in italiano Sofferenza creativa (graphe.it edizioni, 2023, curatela e trad. di Alessia Brombin).
In Inghilterra si risposò e il suo nome cambio di nuovo, divenne Julia Namier.
Sofferenza creativa, scritto nel 1940, ha in sé la religiosità russa, fino alla vittoria dei bolscevichi, che presero per buone le parole di Marx sulla religione che è l’“oppio dei popoli” e l’unica felicità terrena era ritenuta il Proletariato. Alla religiosità russa Iulia de Beausobre oppone la religiosità inglese.
Nella prefazione del libro Alessia Brombin scrive:
Il punto fondamentale del pensiero di Iulia è la premessa di questo libro: la sofferenza può essere usata in modo creativo, facendo leva sulla forza della primigenia vittoria di Cristo sulla morte.
La Beausobre scrive che non è molto facile spiegare la religiosità orientale con quella occidentale.
In Occidente la sofferenza è più spostata sul dolore fisico, sulla malattia. Quindi ad esempio su quanto possa essere dolorosa quell’operazione, oppure se ormai non ci siano più speranze, quanta "partecipazione" possiamo avere da parenti e amici. Mentre la sofferenza orientale è intesa in senso universale e tocca pure a molti bambini di soffrire e chi non esce da questa condizione è un "masochista".
L’autrice scrive che pur essendo passata lei stessa da dolore a dolore non si sentì per niente masochista. Dopo questa affermazione scrive in pillole la storia russa, in cui le figure più controverse e affascinanti sono sempre stati gli Zar.
La scrittrice sente anche l’urgenza di descrivere come venne trattata dal 1917 in poi, quando la sua dimora sfarzosa divenne l’ufficio di qualche ministro sovietico. E lo fa in maniera sorprendente, con molta foga, mai le mistiche di anni addietro e anche di secoli addietro avrebbero scritto in questo modo.
In effetti Iulia Beausobre, anche per vicende personali, sposata due volte, abituata alla bella vita da giovane aristocratica a San Pietroburgo è mistica per quello che scrive, non per altro.
E infatti lei stessa non si definisce “scrittrice”, al massimo la accetta come qualifica:
Chiunque non conosca intimamente la vita dei russi, può dunque rimanere perplesso nel vedere lo jurodivyj (monaco di carità, senza nessuna qualifica), (una figura così russa così cristiana) scegliere il suo strano e difficile modo di partecipare al male con l’intenzione di redimerlo attraverso la "partecipazione", preferendo così le consuete del monaco contemplativo, cioè in un modo che è altrettanto comune in Russia. Solo chi conosce bene la Russia può capire bene la loro scelta che è dettata dalla umiltà.
Lo jurodivyj è "lo Stolto in Cristo", talmente innamorato di Gesù da condurre una vita da monaco ascetico di carità, senza nessuna vera qualifica da parte della Chiesa ortodossa. Una figura così forte e carismatica da divenire emblema letterario: troviamo la figura dello jurodivyj in Fëdor Dostoevskij, nei suoi capolavori come I Demoni, L’idiota, ma soprattutto ne I fratelli Karamazov.
Chi scrive, leggendo Sofferenza creativa, si chiede come mai un paese così vasto ed enorme come la Russia abbia preferito contrapporre l’eternità di Gesù Cristo alla vita, una sola e terrena, con la vittoria del Proletariato.
Soprattutto negli anni Ottanta del secolo scorso, quando era chiaro per quasi tutti i cittadini che la Russia era diventata uno Stato oligarchico dei funzionari sovietici, che davano feste a base di champagne, mentre l’operaio sovietico lavorava battendo i denti dal freddo e nessun buon padre di famiglia avrebbe augurato ai figli la vita stentata e opaca dei genitori.
Iulia de Beausobre, alla fine del libro, chiude le sue riflessioni più cupe in un ottimismo della volontà, sempre tenendo conto che si tratta di un testo del 1940:
È incoraggiante e consolante, trovare una prova concreta del fatto che la nazionalità è una caratteristica propria di ogni individuo, anche se rimane un ostacolo ai livelli più bassi della società Possiamo forse concludere che la strada giusta per superare la propria nazionalità si trova lungo il cammino della santità.
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