Solo il tempo di morire
- Autore: Paolo Roversi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2015
Il romanzo criminale di una Milano più da sniffare che da bere
1972: le pantere della Polizia hanno ancora la livrea verde oliva e i televisori trasmettono in bianco e nero, ma sta arrivando la neve e la città va fuori di testa. Agostino l’avverte nell’aria. La annusa. Infatti, non sono i fiocchi che scendono dal cielo, è “l’altra”, da spararsi su per il naso e che fa sballare, vale un sacco di quattrini. La cocaina, la bamba. Milano impazzisce. Con quella si fanno i bei danè, altro che lavorare. Meglio essere qualcuno da criminale che nessuno da onesto: la filosofia del Catanese è la regola della mala meneghina che popola “Solo il tempo di morire”, giallo lombardo di Paolo Roversi, pubblicato da Marsilio.
Meneghina si fa per dire, visto che tanti sono meridionali. Comunque, lo chiamano il romanzo criminale di Milano. È corale, affollato di personaggi, seguiti nei loro caratteri chiari e scuri, fatti più di ombre che di luci. Una storia che si fa leggere, che prende e non molla.
Intorno si sente fischiettare “Riderà” di Little Tony. La radio trasmette i 33 giri dei Dik Dik, dei Camaleonti, dell’Equipe 84. Sono anche gli anni della contestazione, i primi di piombo, in cui un editore comunista “esplode” accanto a un traliccio dell’alta tensione a Segrate. Qui si chiama Giovanni Frediani, ma fino al marzo ’72 era una persona in carne ed ossa, Giangiacomo Feltrinelli.
Anche negli altri comprimari si intravedono personaggi della cronaca di quei tempi, a cominciare dal leader della lotta studentesca di allora, Mario Capanna, tra le pagine diventato Giorgio Castelli. E i Turatello, i Vallanzasca, gli altri della mala? Sono, il Solista del mitra, il Marsigliese, il Vicerè, il Barracuda, Faccia d’Angelo il rapinatore.
E il Catanese? È Agostino Ebale, salito con la famiglia dalla provincia etnea, per una vicenda di cambiali e debiti del padre, che ha dovuto cambiare aria. Odia Milano, ma sa che lì si può vivere bene, fare i danè, finalmente. Altro che lavorare, come vorrebbe il fratello Francesco. Però, la città della Madunina è fredda. Il sole si vede poco. E poi la gente… lo chiamano terrone e mai un saluto, appena un cenno del capo, nemmeno un buon giorno senza sorriso.
Ha un bimbo e una moglie che trascura, Gloria. Si è gettato nel business della polvere bianca, spacciata con la protezione del conterraneo Turinella: poca cocaina e tanto Cachet Fiat triturato (pillole di analgesici al paracetamolo). Di coca ne mette sempre meno nella mistura che spaccia. Ma ne pippa tanta, invece, di quella vera.
Mentre nel mondo della droga il Catanese si ingegna a fregare i clienti tagliando la neve con sempre meno stupefacente e più medicinale, nel ramo rapine le bande (batterie)si spostano dalle banche alle fabbriche. In città, gli istituti di credito si aspettano i colpi e sono sempre più preparati. Nella zona industriale, invece, nei giorni di paga è come andare a fare la spesa al mercato.
E la Polizia? Fa il suo dovere, conta i suoi morti, cerca di contenere l’escalation di una criminalità in espansione, che lucra sui vizi del ventre molle della Milano bene e male, nutrendolo di roba, gioco d’azzardo, donne. Vizi e denaro contaminano politici e amministratori pubblici, ricchi e meno ricchi, anche pezzi della classe media e delle periferie proletarie.
L’impero del crimine si espande. Dodici anni di crescita esponenziale dell’emigrante catanese che diventa il signore del cartello ambrosiano della droga e dell’ex rapinatore di banche che diventa il delle bische. Ci sarà pure una Corte che condannerà i rei, in Assise, in Appello o Cassazione! Ci sarà una cella che li recluderà!
Sono occorsi sei anni a Paolo Roversi per immaginare, scrivere e vedere pubblicato il romanzo. In un niente il mercato ha divorato la prima edizione. A molti piace riconoscere nelle location della vicenda luoghi reali che sono noti e in qualche caso abituali. Piace rileggere vicende di tempi appena consumati. Infatti, conclude l’autore, questa grande storia di mala milanese sarebbe incredibile se non fosse basata su fatti reali.
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